Appuntamento con la Morte

Arrivato ora a Furnace Creek alle 3 del pomeriggio e fanno 126 Fahrenheit o 52.2°C per l’esattezza. Mi sono rintanato un momento al saloon per mandare giù una birra gelata poi parto per la consueta perlustrazione. Essere qua è sempre una gran figata. Il jukebox manda a country boy can’t survive, un pezzo country tamarrissimo che già avevo ascoltato anni fa. Ce l’ho salvato in mp3 a casa in qualche compilation.

Ok, sono tornato dalla mia fantastica perlustrazione e ho dovuto fare un passaggio abbligato all’Aguereberry Point che è anche il nome del primo brano mai composto e registrato sul mio 8 piste Zoom da me e Pat.

Ci si arriva prendendo la strada per il Wildrose Canyon e dopo una decina di minuti si imbocca una pista sterrata che ti porta su in alto verso il davanzale della Death Valley, un punto panoramico esclusivo dal quale si può ammirare tutta la parte meridionale della valle. Non è molto battuta questa strada tortuosa che si inerpica, percorrendo una gola abbastanza stretta, su per la sponda occidentale della valle. Erano le cinque del pomeriggio e non ho incontrato nessuno nè durante la salita, nè durante la discesa. In me rimaneva comunque la preoccupazione legata alla tenuta degli pneumatici. Mi ricordo che anni fa dovetti cambiare la ruota con quella di scorta a causa di una foratura. Le gomme che ho montate sulla mia Toyota non mi ispirano nessuna fiducia. Sono delle Continental di merda praticamente come quelle che bucai nel 2015, e non è bello cambiare una ruota a 51°C da queste parti.

Saloon e ristorante sono stati ristrutturati qui a Furnace Creek e sinceramente preferivo prima. Oggi sembra tutto più grande ma è necessario prenotare e il ristorante è abbastanza caro. Un tempo arrivavi a qualsiasi ora e ti accoglievano alla grande in un ambiente un po’ più famigliare. Gli alloggi sono identici e pur sempre spettacolari considerando la severità della location. La bistecca era ottima e necessaria ma ne avrei mangiate altre quattro. Ora attendo il dessert, una torta ai datteri con gelato poi uscirò nell’oscurità del deserto e mi fumerò un sigaro per coronare questa giornata che era cominciata con la fuga da Las Vegas ed è terminata con me che contemplavo nel silenzio la valle dall’alto, nel luogo che un prospector di origini basche, morto nel 1945, aveva scovato creando una pista che dal suo accampamento saliva su fino a quasi 2000m.

Questo pomeriggio, prima di arrivare alla Death Valley facevo una sosta ad Ash Medows, un’oasi abbastanza spettacolare in un deserto impietoso. Mentre cercavo di avvicinarmi alla riva delle Crystal Springs camminavo su questi panettoni tremolanti di terra crepata lungo le sponde. Sembravano sorreggermi senza problemi fino al momento in cui la mia gamba sinistra é affondata fino al ginocchio in una melma fangosa grigia e calda. Per fortuna sono riuscito a recuperare la mia scarpa ma avevo un problema. Non potevo entrare così in automobile. Mi son fatto un giro di una mezz’ora cercando di far seccare la melma il più possibile. Ho cercato di coprire tutto con sabbia finissima. Poi alla fine sono partito e poco prima di arrivare a Furnace Creek c’è in effetti un ruscello che poi credo dia il nome alla località e li finalmente mi sono potuto lavare scarpa e gamba.

Anche Badwater da il titolo ad un brano che abbiano suonato e registrato agli albori.

Vegas

Sono uscito alle 8:30 questa mattina qui a Vegas. Uno vestito da Darth Vader, tutto in nero, mantello nero, casco nero compreso, sta sotto il sole a fare la sua comparsa in cerca di soldi. Intanto mi sono già consumato i piedi a furia di fare su e giù per la strip. La calura è già molto intensa. Mi sono appena infilato in un pub e mi sto sludrando una necessaria pinta di Sam. Vegas è una città del cazzo. Buona solo per bere, dormire e qualche altra cosa. Globalmente è la città che incanta gli sprovveduti con la promessa del guadagno e del divertimento ma lascia sul campo un sacco di disperati. Mamma mia se è venuta severa questa frase un po’ esagerata. Ci si diverte anche. In questo pub le cameriere ti sbattono le tette in faccia per esempio. Comunque ci sono un sacco di barboni che dormono per strada e gente fuori che parla da sola con abiti macilenti.

Bello avere qualche soldo qua a Vegas. Si dorme da dio a prezzi top. Penso ancora alla stanza di merda di Springerville, AZ e mi girano un po’.

Qui al Park MGM c’è tutto un padiglione di Eataly tutto dedicato alla gastronomia italiana. Fantastico devo dire. Ci sono un sacco di prodotti italiani, dai vini ai dolci, formaggi, salumi e specialità regionali. C’è pure uno stand dove uno fa la mozzarella dal vivo, un afro-american però, il che fa un po’ ridere. Comunque notevole colpo pubblicitario per la gastronomia italiana.

Piccola considerazione random: qui in USA la spesa media per un pieno di benzina ammonta al momento a 25 CHF! E qui si parla di rincaro!

Una sacco di super obesi girano per questa città, facendo dentro e fuori dai casinos. Circolano con le loro sedie a motore, perennemente seduti, tra un cheeseburger e una fetta di pizza, con enormi bicchieri di coca cola, intenti a perdere cifre ingenti assieme ai loro sogni di salute. Alcuni non hanno proprio voglia di camminare. Potrebbero e uscirebbero da questa spirale infernale.

Gli interni del Bellagio, del Cesar Palace, del Venetian scimmiottano una strana idea di lusso che gli americani si immaginano possa essere italiana ma non hanno veramente idea. Tutto pacchiano, volgare e finto.

Sono passato a dare un’occhiata al leggendario Circus Circus. Un po’ marginalizzato rispetto ai grandi casinos nel cuore della strip. Ha anche l’aria un po’ dimessa, con la moquette sgualcita e metà delle slots inoccupate. Negli altri casinos si fa a gara con le proposte più mirabolanti e straordinarie, qui al Circus c’è il tiro a segno e una tipa che cammina su una ruota. Però la sua aria isolata, il suo ingresso illuminato, gli danno un po’ quell’aria da Titty Twister in mezzo al deserto in stile tarantin-rodrighesco.

Sigaro per Bluff

Santa Fe è veramente una figata. Una bella città davvero a misura d’uomo. Con un bel centro e un sacco di gente che cammina per le strade. Un centro vivo. Mi sto godendo una Perfect Margarita ad un tavolino qui fuori in Lincoln Av. e sto bene! Temperatura più che accettabile e mi sa che stasera dormo a Bluff! Pd.

Nel lontano 1996, nella mia cameretta a Lugano, mi ero confezionato uno speciale astuccetto contenente, se ricordo bene, due sigarette che avrei dovuto fumare con Pat e Eero una volta raggiunta la località di Bluff, UT. Sono passati 27 anni, tipo. Avrei detto di meno, tipo una ventina ma invece no, sono quasi trenta. Cioè, eravamo qua, ben più che ventenni, si era di più verso i trenta che i venti. Già lavoravamo, eravamo adulti, cazzo. Totalmente adulti.

Poi aggiungi altri trenta fottutissimi anni (si, lo so, sono 27) e adesso sono qui. Il Desert Rose è ancora qui. Ci dormo stanotte. La Cottonwood Stakehouse non c’è più, o meglio, ha cambiato gestione. Il posto è identico ma ora si chiama Comb Ridge Eat and Drink e non servono bistecche ma solo burgers. Va bene lo stesso, le vibrazioni sono le medesime con i tavoli all’aperto e poi se mandi giù una Sierra sei di nuovo giovane. Mi sembra di sentire gli emiliani che erano stati a “zashua” ma invece sono una famiglia di svizzero tedeschi che sta seduta dall’altra parte della corte esterna, con i tavoli e la ghiaia in terra.

Ora la trösa è qua di fronte alla mia cabin, la numero 4, io sono seduto sulla veranda e guardo le ultime luci che se ne vanno qui nel deserto con una brezza calda che scivola su questa terra rossa. Sto bevendo un’altra Sierra e guardo gli ultimi fumi del mio sigaro che si perdono nell’oscurità. Questa è una di quelle serate che vorrei non finissero mai. Una serata da cantare, da suonare. Tra qualche giorno ci sarà ancora un altro sigaro speciale che mi accenderò nella Death ma per il momento mi godo questo “sigaro del PD per Bluff”, perchè è così che avevo chiamato le sigarette che avevo confezionato per questo luogo in quell’estate del ’96, quand che sevi giuvin.

Apologia dello spostamento

Partiamo dalla fine. In questo momento sto aspettando un sontuoso combination plate seduto alla Cita, ristorante messicano a Tucumcari, NM. Sto bevendo una Dos Equis e per fortuna qua dentro c’è una temperatura normale.

È vero, ho già fatto la 66 in passato ma questa volta l’ho sentita quasi come una necessità fisica. Avevo bisogno di fare questo spostamento. Sentivo il bisogno di buttarmi alla guida lungo questo percorso che è necessariamente anche un viaggio simbolico, un trip per la mente, una necessità emotiva. Questo serve a me. Sono sicuro che questa è una mia personale necessità e non necessariamente condivisa ma così stanno le cose per me. Anche io mi interrogo a questo riguardo e poi mi do la risposta. È fondamentale viaggiare e come dice sempre il mio amico Dema, “conosco uno che era lì fermo che aspettava e poi è morto”.

Considerazione random nata spontaneamente mentre guidavo:

In strada gli americani fanno fatica a decodificare la cortesia. Non la comprendono. Concetto troppo difficile. Se ti fermi per far passare qualcuno, in genere non ti ringrazia e anzi, a volte si incazza pure. Se c’è qualcuno che ti punta con l’auto e rallenti e ti fai da parte per lasciarlo passare in genere non capisce che può superarti e resta li dietro.

Intanto qui al tavolo di fianco al mio è arrivata una comitiva di braccianti messicani, anzi, più che messicani, sembrano usciti da Apocalypto, sono degli aztechi questi qua, braccianti aztechi.

Credo di aver guadagnato un po’ di tempo per dedicarmi un po’ di più al southwest. Era comunque mia intenzione arrivare a Tucumcari per alloggiare al Blue Swallow Motel dove mi ero fermato anni prima a scattare panoramiche con il proprietario che allora un po’ sorpreso mi aveva chiesto perché non avessi deciso di pernottare nel suo motel dal momento che mi ero fermato per fotografarlo. Quella domanda mi aveva messo un po’ in imbarazzo. Aveva ragione. Molti proprietari da queste parti si fanno il culo per rimettere in piedi questi vecchi motel cercando di non far scomparire quel fascino della Route 66 che noi cerchiamo quando la percorriamo. E poi noi turisti cosa facciamo, passiamo attraverso Tucumcari, fotografiamo queste meraviglie e poi andiamo a dormire al Days Inn?

Mi ero dunque ripromesso di correggere questo errore oggi. Dunque entro a Tucumcari e vedo Il Blue Swallow dall’altra parte della strada. Metto la freccia per svoltare ma in quel momento arrivano dalla direzione opposta almeno dodici Corvette e si infilano una dopo l’altra nel parcheggio del motel. Ma che cazzo è? Ma da dove sbucano queste auto di merda? Capisco subito che sarà difficile che rimangano stanze disponibili e in effetti dopo qualche minuto scompare l’insegna “vacancy”.

Vaffanculo le Corvette. Un blocco più in basso c’è un altro motel dal sapore anni 50, il Roadrunner Lodge. Anche nel suo parcheggio ci sono un po’ di Corvette ma sembra esserci ancora vacancy.

Sono tutti anziani quelli delle corvette. Una vecchia è appena uscita dalla sua stanza e sta pulendo la sua Corvette con un panno e lo spruzzino.

Bene signori. Adesso devo mettere via le mie cose perchè fra poco si parte e devo ancora decidere dove andare.

Carne, birra e deserto

Comincio ad avere un prepotente bisogno di assaporare una gustosa bistecca al sangue con una bella caraffa di birra gelata da qualche parte nel sudovest americano. Sto immaginando di guidare per ore lungo le strade desolate nel deserto, mi vedo nell’ultimo pomeriggio a guidare nella solitudine della natura, sporco di sabbia rossa, con beef jerky a portata di mano, in attesa di trovare una tavola calda in cui mangiare una sontuosa t-bone steak e un motel in cui franare. L’auto tutta sporca, con le mappe stradali tutte stropicciate e strappate, sigarette per terra e tabacco sui sedili, bottiglie d’acqua vecchie di una settimana tutte gonfie, i bicchieri del caffé vuoti con il coperchio in plastica, un cesto di birra bollente nel baule, qualche strana micro-brewery dal nome evocatore. Tante foto scattate, sassi raccolti, impolverati e incrostati, legni secchi, contorti e colonne sonore meravigliose.

Adesso stappo una Sam Adams. Ne ho bisogno come di una medicina. Bottiglia bellissima, famigliare, fa parte delle mia memoria e della mia storia ormai.

Voglio vedere le lucertole e i serpenti, gli strani e inquietanti buchi nella terra secca del deserto, le gallerie sotterranee scavate dai cani della prateria, i piccoli cespugli secchissimi tutti gialli che se però ti avvicini rivelano del verde delicatissimo e sorprendente.

Sassi, colori, tracce di animali. Lattine schiacciate, vecchissime sul ciglio della strada, e cocci di vetro marroni e verdi, fondi di bottiglia. Rifiuti, ferri vecchi e arrugginitissimi, cinquecento anni di ruggine, assi di legno con chiodi arrugginiti piantati disordinatamente, stoffe vecchie sbiadite, strappate e plastiche spaccate, catapecchie di legno distrutte, legno vecchissimo, secchissimo e durissimo. Copertoni lacerati a brandelli sulla strada. Animali schiacciati incrostati sull’asfalto, consumati e prosciugati, saguari, chollas, aria caldissima, cielo azzurro e polvere che si alza mentre la calpesto con la testa che pulsa, la fronte imperlata di sudore, i capelli bagnati, il collo che brucia, tutto abbracciato dalla calura e dal silenzio.

Modulo Lunare

Oggi pubblico una panoramica scattata in Utah, attraversando un paesaggio abbastanza lunare durante un pomeriggio post-apocalittico a base di beef jerky, ballate esistenzialiste e dense nubi scure in cielo. Un classico pomeriggio di viaggio senza meta precisa all’insegna dell’esplorazione desertica. Ogni angolo di deserto percorso mi intriga. Ci giro dentro, sto fermo a scavare il silenzio con le orecchie,  sentendomi come l’ultimo uomo sulla terra.

Rock Novak

Ieri sono infine uscito dal deserto. In mattinata ho fatto tappa a Beatty per fare il pieno al mio cavallo di ferro. Beve tantissimo in questi giorni. Sarà il caldo. Subito dopo mi é sembrato doveroso fare una breve sosta a Rhyolite. Le immagini di questa ghost town sono il motivo per cui sono partito per gli USA nel 2007. Ricordo ancora perfettamente un email spedito in cui scrivevo “Io devo andare a Rhyolite”. Ebbene, adesso, in questo preciso istante sono a Rhyolite. Di nuovo. Me la sto guardando. I suoi ruderi si addicono alla fotografia panoramica. Oggi la temperatura é assai più sopportabile. C’é qualche nuvola che vela il cielo e abbiamo otto/dieci gradi in meno da sopportare. Dopo Rhyolite una breve tappa a Furnace Creek giusto per mandar giù una Sam gelata prima di ripartire per una meta non ancora precisa. Sono al bar del Furnace Creek Ranch e sto godendomi la Sam come non ho quasi mai fatto in tutta la mia vita. Ci sono veramente pochissime birre che detengono il primato nella mia vita e questa é una di quelle. Decido che per ritrovare la costa del Pacifico uscirò dalla Death Valley seguendo una nuova strada mai percorsa in precendenza. Faccio rotta verso la Panamint Valley in direzione di Trona. Il primo tratto é quello che porta in direzione del Wild Rose Canyon, visitato qualche anno prima, poi invece ci si immerge in questa enorme valle quasi disabitata con la classica strada dritta e lunghissima che la attraversa. Ad un certo punto leggo “Ballarat Ghost Town”. Una strada in terra battuta devia a sinistra e io chiaramente non resisto e mi ci butto dentro. Procedo a 40 miglia orarie. Le ruote ballano e di dietro sollevo un magnifico polverone ascoltando Marc Johnson accompagnato dalle chitarre leggere e atmosferiche di Bill Frisell e Pat Metheny.

Dopo una decina di minuti di polvere arrivo in quello che sembra un accampamento post atomico tratto da Mad Max. Alcuni Trailer e qualche RV sono parcheggiati non lontano. Un cartello mi consiglia di fermarmi, uscire ed esplorare piuttosto che stare fermo in auto.

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Da una casupola vedo uscire un uomo dall’aspetto perfettamente “Deliverance”, oppure “The Hills Have Eyes” Mi avvicino. How are you? I’m fine, how are you today, sir. Gli rispondo.
Good, oggi si sta un po’ meglio di ieri. Come on in, I have cool sodas. Mi fa entrare in una specie di autorimessa tutta piena di baracche e roba rotta. Un cane sta boccheggiando su una poltrona tutta sgualcita. Un poster di una tettona é appeso proprio sopra al frigo. Lui lo apre e ci sono 2 bottigliette d’acqua e 500 lattine di Bud. What about a beer? Gli chiedo. Allright. Mi stappo questa Bud nella calura mentre lui mi indica un pickup tutto arrugginito proprio davanti a noi. That’s Charles Manson pick-up right there. There’s the cemetary. Quell’edificio la in fondo é la prigione. Isn’t that funny? E quello era il motel. Troverai la scritta No Vacancy abbastanza ironica, Mi dice. Capisco che nonostante l’aspetto totalmente inquietante, Rock Novak, questo é il suo nome, é pure dotato di un buon senso dello humor.

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Mi spiega che i trailer che vedo vicino al cimitero sono degli operai che lavorano alla miniera d’oro ancora in funzione a Pleasant Canyon. Si tratta di lavoratori che vengono da Isabella, da Trona e tornano a casa solo per il weekend. Una miniera d’oro ancora in funzione! Fantastico! Ci lavorano circa sessanta persone 24 ore su 24. La sera tornano a Ballarat nei loro trailers fermandosi da Novak per una Bud. Rock mi dice pure che é pieno di gente stupida che viene nel deserto totalmente sprovveduta, va a farsi dei giri credendo di essere seduta davati alla propria televisione nel salotto di casa e poi ci lascia le penne in una qualche gola nascosta della Panamint Valley. Gli dico che anche io sono spesso sorpreso dalla stupidità della gente che in luoghi così severi fa cose che i locali non farebbero mai. Rock mi corregge subito. Qui é pieno di gente stupida come ovunque, che fa cose che poi paga a caro prezzo. Siamo tutti uguali, Da qualsiasi parte veniamo. Siamo tutti stupidi.

Devo dire che sto Novak mi convince sempre di più. Gli chiedo se posso fare una fotografia nella sua rimessa. Oh, no problem. Go for it. Take all the pictures you want. Dopodiché lo saluto vado a scattare ancora qualche foto ai ruderi di Ballarat e poi parto in direzione della costa.

Salgo seguendo la 178 West verso il Giant Sequoia National Monument che però non riesco a visitare. Si sta facendo sera e devo assolutamente raggiungere un posto per dormire in tempo utile. Comincio dunque a ridiscendere dall’altro versante della Sierra. Il sole che é rimasto nascosto dietro a delle alte nubi per tutto il pomeriggio si fa finalmente vedere e comincia dunque un meraviglioso spettacolo lungo le colline di erba gialla della California. Cerco di andare abbastanza spedito per non perdermi un tramonto mozzafiato da immortalare con una delle mie panoramiche. Incontro mucche, scoiattoli e cervi lungo la strada poi ad un certo punto, passata una curva, venti metri davanti a me vedo uno strano animale accovacciato in mezzo alla strada. Sarà un altro roadkill? No, non può essere sta proprio accovacciato. Mi semmbra un gatto dalla posizione, ma no, non può essere. Le proporzioni non tornano. E’ troppo lontano e troppo grande. Ho il riflesso nel retro del mio cervelletto bituminoso di prendere la macchina fotografica ma inconsapevolmente non fermo l’auto che continua a muoversi lentamente. L’animale che non mi cagava neanche di striscio perché probabilmente completamente assorto nella contemplazione di una possibile preda si accorge infine della mia presenza, si alza, si gira e scappa nella boscaglia. Si trattava di una magnifica lince alta una quarantina di centimentri per ottanta di lunghezza. E’ la prima volta che ne vedo una nella mia vita stronza. Sono felicissimo di averla nella mia memoria. Riparto alla caccia del tramonto. L’aria ha un odore magnifico, di agricoltura, di terra lavorata, di letame, di campi che trasudano. Mi ricorda tanto l’odore del Kibbutz Revivim in Israele. Fantastico.

Arrivo alle 9 di sera a Porterville. Non so esattamente dove sia ma adesso ho veramente bisogno di fermarmi, bere una birra mangiare e dormire.

Oggi alle 20 e 15 ho finalmente terminato la mia rincorsa al sole. L’ho visto gettarsi da qualche parte lontano nel Pacifico. Io stavo tra gli scogli un po’ prima di Carmel. L’epilogo perfetto di un’altra giornata magnifica. In mattinata ho attraversato la California rurale, quella dei campi coltivati, dei messicani clandestini.

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Adesso sono seduto all’Old Fisherman Grotto e qua al tavolo di fianco al mio stanno parlando di Belli, Montecarasso e Biasca. Madonna che rottura di palle. Rimpiango quasi i francesi. Ah, dimenticavo, mi trovo a Monterey e oggi sono arrivato ascoltando quasi esclusivamente CSN e Jefferson Airplane. Che emozione questa strada! La 1 intendo. Percorrerla é in effetti come riascoltare un magnifico disco; Conosco già la musica ma é sempre un gran piacere che mi rigusto volentieri. Sono arrivato sulla 1 a Cambria, poco dopo Morro Bay. Che strada fantastica.

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Me la sono proprio goduta. Ogni tornante, ogni punto panoramico. Adesso sto mangiando uno spada all hawaiiana. Non so di preciso quale sia il valore aggiunto hawaiiano se non che probabilmente alle Hawaii hanno i broccoli e le carote come da noi e come appetizer un insalata di polpa di granchio. Ottimo comunque, il tutto accompagnato da due ottimi bicchieri di Pinot Grigio. Ah che figata! Tutto ottimo questa sera qui a Monterey.

23 miles of perfection

Bene, adesso non vorrei apparire coglione qui al bar del TI mentre scrivo e mi ciuccio un buon Booker’s. Questo pomeriggio mi sono letteralmente massacrato a fare su e giù per Las Vegas Boulevard.

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Adesso ho le gambe distrutte, ho già buttato nel cesso 40$ in un attimo ma ho mangiato da re al Buffet dell’Harras. Adesso cerco di perdere altri 60$ poi mi fermo. Oggi sono ancora riuscito a percorrere l’ennesimo tratto di 66 da Kingman fino a Oatman. Il caldo nel frattempo si é fatto notevole: 116 F, che non so quanto sia, ma qui nel deserto paiono un fottio di gradi allucinanti.

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Prima di arrivare a Oatman mi sono fermato ad una piccola e isolata pompa di benzina. Anche qui come mi era già capitato in passato mi sono trovato confrontato con il proprietario assai diffidente: Where are you from? Germany? No, Switzerland Dev’essere costosa l’attrezzatura che ti porti dietro, perché sei qui? Mah, prima di tutto volevo comperare qualcosa da mangiare poi se non ci sono problemi avrei l’intenzione di scattare una fotografia qui fuori. Perché vuoi scattare una foto? Perché mi piace il posto. Poi ha cominciato a spiegarmi che l’edificio é registrato nel patrimonio nazionale e che non ha nessun problema a fare scattare foto e quant’altro a patto che non si vendano o che perlomento gli si chieda il permesso. Qualche tempo addietro aveva avuto una brutta esperienza con un tedesco che si era mostrato molto aggressivo nel momento in cui lui gli aveva fatto qualche domanda in merito all’utilizzo delle foto. Per cui da allora lui é diffidente e io aggiungerei un po’ paranoico. Un omone dall’aspetto e dall’atteggiamento simili a quelli di John Goodman in “The Big Lebowski”. La valle di lacrime, per intenderci.
Dopo averlo tranquillizzato sulle mie intenzioni si é calmato e ha cominciato a raccontarmi delle storie. Gli ho detto che oggi era veramente caldo e lui mi ha risposto Oh yea, hot as hell, actually I’ve been to hell. The devil took a bite of me and let go over. Sai, io sono morto una volta. Mi dice serio e poi mi fissa. Ah si? Rilancio io mentre cerco di capire se mi trovo davanti ad un pazzo scatenato oppure a qualcuno che ha una strana storia da raccontare. Mi trovavo in un campo a lavorare con dei macchinari per l’irrigazione (così mi pare di aver capito) che funzionano con nitrogeno e sono stato colpito in pieno petto da una spruzzata di gas a -200°. Ho smesso di respirare e dopo un po’ mi son visto da 100 metri d’altezza, Vedevo me a terra e mia moglie che cercava di soccorrermi. Poi sono riuscito a fare il primo respiro e sono ritornato a terra. Poi mi ha pure raccontato del roadrunner che viene a mangiargli dalla mano. L’unico uccello che non vola e mangia carne di prede che lui stesso uccide. Arriva fino a 70 miglia di velocità mi dice e uccide i serpenti a sonagli. Io non ho mai nemmeno capito se si tratti di un animale vero oppure solo di un disegno animato.

Intanto mi son fatto un’ottima Sam Adams per colazione.

E’ sempre speciale passare la notte nella Death Valley, solo che questa volta non mi trovo a Furnace Creek bensì a Stovepipe Wells. Lo stile é un po’ più spartano ma questo aggiunge più fascino al pernottamento. Questa volta il mio avvicinamento alla Death e avvenuto da est e in effetti é un’esperienza un po’ meno mistica, se mi é concesso, dell’arrivo da ovest. Di solito si comincia con la lunga discesa da Yosemite che ti immerge progressivamente in un ambiente sempre più desertico, poi c’é il passaggio attraverso Bishop dove di solito ci si ferma per un tardo pranzo e per una birra preparatoria. Poi si riparte e a Lone Pine si volta a sinistra. C’é l’impatto con quella che abbiamo ribattezzato Pre-Death (Panamint Valley, in verità). La prima volta che venimmo in USA pensammo che si trattasse della Valle della Morte vera e propria. Poi ci fu lo stupore quando cominciò la lunga discesa verso Stovepipe Wells e la Death Valley.

Questa volta niente di tutto ciò. Sono partito alle 9 e 30 da Las Vegas, ho fatto il pieno a Pahrump con grande rifornimento d’acqua (2 galloni e mezzo = 7 litri) e poi in un istante ero già nella Death.
Percui prima tappa pomeridiana al Dante’s view point su in alto (quasi 2000m d’altezza) Temperatura perfetta. La valle sta proprio sotto e io so che questo benessere é solo un’illusione. Comincio quindi a scendere fino a Furnace Creek e il termometro sale fino a 121 F e stare fuori dall’auto é un’impresa. Fantastico. Ho quasi paura che la mia attezzatura fotografica fonda. Supero Furnace e vado a depositare le mie cianfrusaglie a Stovepipe. Il pomeriggio lo dedico a Pete Aguereberry visitando e fotografando il suo accampamento e rivisitando il punto panoramico da lui scoperto.

Oggi sta per terminare il mio secondo giorno di esplorazioni qui nella valle della morte cominciato questa mattina alle 5 e 30 con una sveglia spontanea dettata anche da un brutto incubo che ho avuto. Strano perché il sogno stava andando alla grande: avevo conosciuto Bruce Springsteen. Vabbé, dicevo che mi sono svegliato presto percui ho deciso di assistere alla sorgere del sole questa volta sulle dune di sabbia che si trovano proprio qui vicino a Stovepipe Wells.

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Timing perfetto come al solito e un paio di panoramiche abbastanza pregevoli a mio avviso, poi ritorno a Stovepipe e colazione veloce, poi partenza in direzione di Beatty per fare il pieno all’auto. Riparto da Beatty e vedo la deviazione per Titus Canyon. L’ultima volta ci ero passato praticamente di notte e si era trattato di una discesa assai suggestiva. Adesso però ho voglia di farmela con la luce. Mi auguro solo che il mio Toyota sia veramente un 4×4 e non uno di quei Rav 2WD, ma c’é scritto 4WD perciò dovrei stare tranquillo. Comunque la spia 4WD sul cruscotto non si accende mai. Inoltre ieri l’auto ha cominciato a fare degli strani rumori e non é proprio il caso di immerdarsi lungo il tragitto che sto per percorrere. Diciamo che non é una strada battutissima.

verso-leadfield

Comincio a percorrerla e mi rendo presto conto che non ci saranno problemi. Dopo un ora arrivo alla ghost town di Leadfield e finalmente vedo le poche baracche rimaste ancora in piedi.

leadfield

Vado subito a scattare un po’ di foto. La temperatura e più che accettabile (36/37) e comincio così la lenta discesa lungo il Titus Canyon. Le pareti sono ancora più alte di come me le ero immaginate di notte. Dopo 2 ore e mezza complessive esco finalmente dal canyon e mi preparo per una nuova esplorazione. E’ già mezzogiorno e vado dunque a prendermi qualcosa da mangiare. Uscendo dal Canyon la temperatura si fa sempre più estrema e quando arrivo a Stovepipe siamo sui 48 °C.
48
Decido però di viaggiare con i finestrini abbassati e senza aria condizionata giusto per sperimentare la calura estrema. Dopo un po’ mi abituo e mi sembra di viaggiare in una sauna.

Questa sera sono andato a mangiare a Furnace Creek. La strada da Stovepipe a Furnace mi ha visto ritrovare la totale armonia. 23 miglia di perfezione fisica e mentale. Steve Earle col suo rispettoso omaggio a Townes Van Zant era la colonna sonora naturale. Il sole é già calato da un’ora e la luna é già alta in cielo. Ne avevo bisogno.
Questo pomeriggio mi sono massacrato per prendere qualche panoramica a Ubehebe Crater. Tirava un vento pazzesco con il sole che tritava il cervello. Nel tentativo di prendere una panoramica tra due crateri minori sono scivolato e mi sono sbucciato gomiti, ginocchia e mani come un dodicenne coglione. La pelle secchissima e impolverata poco si addice alla ghiaia lavica affilata e rovente di Ubehebe Crater. In un tutto grigio-chiaro-ocra il mio sangue ha veramente un che di artistico… Torno all’automobile dolorante e sanguinante e questa volta, fanculo, accendo l’aria condizionata e ritorno a Stovepipe.
Intanto qui alla Steakhouse di Furnace sono stato servito dallo stesso cameriere fröss dell’ultima volta. Indimenticabile! Gentilissimo e frocissimo. Il vino che sto bevendo mi fa venir voglia di rifare un passaggio in Napa ma comunque ho la borsa piena di Kentucky Bourbon. Questa sera dovrò dare un’occhiata al tracciato per arrivare a Frisco in tempo. La voglio fotografare in lungo e in largo e mi preparo agli acquisti rituali presso i negozi di musica a Haight Ashbury e altre stronzate varie. Frisco! Che stato d’animo questa città… San Francisco é la musica che ascolto: David Crosby, Jefferson Airplane, CSNY me la evocano immediatamente.

Ma porca trojjjaa quanti francesi ci sono in giro da queste parti. Vincono in numero su tutte le altre nazioni 10 a 1.

Kingman

Ah, goduria! Finalmente sono arrivato in un posto in cui depositare tutta la merda che mi porto appresso e fermarmi per la notte. Oggi finalmente ho ripreso a percorrere la 66. Devo dire che é stato bello ritrovarla dopo alcuni giorni trascorsi ad inseguire il sole nascosto spesso dalle nuvole. Adesso non ci sono nè francesi, nè italiani, nè tedeschi. La strada non é più bella dritta, a quattro corsie. Ai lati della strada ci sono di nuovo pittoreschi ruderi e testimonianze di un passato laborioso.

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Sto mangiando messicano in un ristorante sulla 66 a Kingman, AZ, e bevo una cerveza Tecate, hecho en Mexico. Madonna pietrificata, come sposa bene questa birra con l’enchilada. E’ difficile descriverlo.

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E’ curioso  ma qui il cappello da cowboy deve essere proprio saldato al cranio della gente. Non se lo tolgono mai. Sono qua, tutti al ristorante e tutti col cappello in testa. Anche se devo dire che stamattina a Cameron ho visto uscire da un’auto una famiglia di africani veri, in abiti tradizionali (stile Mobutu, per intenderci) ma sia il padre che il figlio con un cappello da cowboy enorme e francamente ridicolo. Più un sombrero che un cowboy hat. Anzi più che altro un ombrellone da spiaggia. Ci si stava sotto almeno in quattro e tutti all’ombra.

I due camminavano un po’ ancheggiando sentendosi probabilmente degli strafighi, solo che la scena, più che Sentieri Selvaggi di John Ford, ricordava Mezzogiorno e Mezzo Di Fuoco di Mel Brooks. Una scena abbastanza ridicola  e anche un po’ penosa. Anche i Navajo dai loro pickup guardavano ridendo.

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Questa mattina ho visitato le incredibili gole dell’Antelope Canyon, vicino a Page. Strettissime e profonde una ventina di metri, sono state scavate dall’acqua e dal vento. Tutto levigato e sinuoso questo budello si allunga un paio di centinaia di metri con degli straordinari giochi di luce e colori. Uscito dall’Antelope Canyon mi sono diretto al Gran Canyon che non ho più visitato dal 2000.

Infine una notizia rubata da un giornale visto in un supermercato. Riguarda l’attrice che interpretò Wendy, la moglie di Jack in Shining:

Vivete anche voi la sua tragedia. Dice che degli alieni vivono nel suo corpo.

shelley

Eternità

canyonlandsSono seduto al Grand View Point di Canyonlands da solo con una birra celebrativa in mano e sto facendo delle riflessioni sull’eternità. I canyon immensi giù in basso me lo impongono. Ma quanto tempo hanno impiegato il Greenriver e il Colorado per scavare queste gole? Mille anni sembrano tanti ma sono un milionesimo di secondo in confronto al tempo che ha visto mutare questi abissi. Dunque noi viviamo il tempo di un millesimo di secondo, quanto basta per far battere un’ala ad un moscerino della frutta. La nostra vita dura tanto, veramente un cazzo, e non percepiamo assolutamente niente  di questo tempo geologico. La nostra vita é come un’istantanea, é tutto fermo. Noi percepiamo tutto immobile. Ok, i moscerini sono ancora più sfigati.

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animal

Questo tardo pomeriggio, passando attraverso il parco di Capitol Reef, ho incontrato dei cervi che non avevano nessun timore della presenza umana. Una specie di paradiso, insomma. Adesso sono stanco come un armadillo ingolfato e tra un momento vado a dormire. Mi trovo a Torrey in Utah