Vediamo un po’ che effetto fa riscrivere qualche pensiero dopo una pausa lunghissima in cui é accaduto di tutto. Un nuovo lavoro, una pandemia planetaria, un infortunio che mi ha tenuto fermo per mesi, un nuovo giradischi, un paio di Fèis Ìle virtuali con bottiglie speciali ricevute per posta qui in montagna. Sono morti Neil Peart, Eddie Van Halen, John Prine, Lyle Mays, Chick Corea e altre leggende.
Ho scovato alcune pregevoli bottiglie di whisky: un Caperdonich di 23 anni distillato nel 1996, imbottigliato da Morrison & Mackay, un Glenury del 1978 invecchiato 16 anni e imbottigliato da Signatory.
Ho finalmente trovato il secondo volume degli Old Master Box Set di Frank Zappa che cercavo dal 1996. E’ inoltre uscito il documentario di Alex Winter su Zappa.
Diversi concerti nelle utime settimane e nuove bottiglie di whisky per prepararmi alla breve trasferta scozzese. Domenica intanto, con sole e voglia di preparare un pranzo sontuoso.
I Giardini di Mirò
Il “punk seduto” di Marc Ribot e il suo Ceramic Dog
Poi ci sono anche stati i Campos ma non ci sono immagini
Il Banffshire é il luogo dove vorrei essere in questo momento. Sto assaggiando il mio Convalmore del 1975 e mi ricordo quel pomeriggio mentre scattavo panoramiche tra gli edifici ricoperti di muschio di questa distilleria “silenziosa “dello speyside. Giravo tra le botti abbandonate all’esterno, di pomeriggio, dopo la pioggia. Lo Spey scorreva lento. Ero come un bambino in un negozio di giocattoli. Guardavo tutto con totale attenzione, ogni dettaglio, ogni sfumatura della ruggine e tutte le tonalità dei resti di vernice ancora attaccati alle pareti della distilleria.
L’anno prossimo in Scozia! Devo tornarci, cazzo. Voglio tornare a Pitlochry e farmi una camminata di mezzora nel buio di sera, per arrivare al Moulin Inn, entrare nell’atmosfera accogliente e centenaria di questa locanda di campagna. Prima una bella pinta di Bravehart Golden Ale e poi una bella bistecca farcita di haggis come solo io posso ordinare.
Dai, l’anno prossimo in Scozia! Andiamo a prenderci la nostra botte!
Sto esaminando il mio plettro ricavato da una mia vecchia carta di credito. Ne sono orgoglioso. E’ da qualche giorno che spazzolo insistentemente le corde della mia chitarrra, che riprendo le vecchie abitutdini. Bene.
Sto bevendo un ottimo tè pu’er mentre fuori é tutto bagnato e nebbioso. A fine marzo il camino acceso ancora ci sta. Più tardi farò una scappata nel bosco, in cerca di lupi e scatti fotografici. Recentemente ho rimesso in marcia il giradischi Revox che stava in silenzio già da qualche anno e che in queste ultime settimane ha sempre fatto girare qualche bel pezzo di vinile. Questa mattina girava sul piatto Another Language, il vinile color oro – post-rock cupo e melanconico – di This Will Destroy You. Muri sonori contro i quali amo sbattere la capoccia ogni tanto.
Ora, però, il piatto che gira è quello del lettore CD e sto ascoltando l’ultimo lavoro di Bill Frisell, in solitaria, con la sua chitarrra e i suoi pedali.
Bene, dopo un milione d’anni scrivo qualche nuova riga e questo é bene.
L’altra sera stavo sfogliando una delle mie “letture” preferite di sempre: il Road Atlas – US, Canada, Mexico, edizione 2017. Nel frattempo ripercorrevo a mente le strade delle mie innumerevoli scorribande negli angoli più remoti del nord America. Viaggiando mi é sempre piaciuto celebrare i passaggi di confine e ho preso l’abitudine di fotografare i cartelli di benvenuto ogni volta che mi é capitato di attraversare i confini di stato.
Intanto mi sta frullando in testa da un paio di giorni questa fantastica canzone dall’ultimo album di Chris Thile, il virtuosissimo mandolinista dei Punch Brothers. Questo pezzo si colloca a mio avviso quasi lassù in cima assieme a New York State of Mind di Billy Joel.
Questa mattina sto ascoltando un album assolutamente spettacolare, completamente dada, totalmente assurdo che negli ultimi anni avevo completamente dimenticato. Credo che tutti se lo siano dimenticato quest’album come pure il talento del Moamo Liquido che lo ha composto, ovvero Zoogz Rift.
Mentre ascolto “Idiots On The Miniature Golf Course” by Zoogz Rift’s Micro Mastodons leggo un breve dispaccio proveniente dall’interspazio, risalente al mese di giugno, a NYC:
“Sono bloccato da qualche parte sulla 18 esima est. Devo salire verso l’Empire State Building ma adesso mi sono rifugiato all’interno di un pub e sto mandando giù dell’ottima Lagunitas col DJ che manda musica ripetitiva ma conciliante. Fuori sta pourando rain, di brutto adesso. Comincio ad avere voglia di mangiare ora. Fra in attimo mi faccio un Bloody Mary ma poi sarà necessario andare a cercarsi un buon food su a Korean town. BM arrivato ma comunque devo dire che dalle nostre parti stiamo bloodymerando da campioni”.
Ho conosciuto la musica di Zoogz attraverso il newsgroup alt.fan.frank-zappa (eh si, sembra preistoria informatica ma a cavallo del nuovo millennio l’informazione digitale navigava anche attraverso Usenet. NNTP era il mio protocollo preferito e io vivevo letteralmente dentro Usenet, Forté Agent era il mio news client di riferimento e gran parte del tempo online lo trascorrevo leggendo i post su Frank Zappa e scaricando i suoi bootlegs in un qualche gruppo nella gerarchia alt.binaries.
Non ricordo bene quando venni a conoscenza della musica di Zoogz ma ricordo che il Liquid Moamo in persona scriveva ogni tanto sul newsgroup. In quegli anni sembrava abbastanza a terra, senza soldi e malato di diabete. Un paio di CD furono realizzati anche grazie al supporto della nostra comunità che si incontrava per messaggiare su alt.fan.frank-zappa.
Possiedo questi CD autografati e decorati da Zoogz stesso e sono un orgogliosissimo possessore di una buona parte della sua discografia in vinile
Me lo ricordo benissimo il giro che abbiamo fatto a New York col Capozzi, siamo partiti dall’undicesima avenue, o giù di lì, veramente in fondo, quasi riversi nell’Hudson River, faceva freddo, soffiava un vento forte e il cielo era grigio. Stavamo non lontano da dove domenica a mezzogiorno ci eravamo fatti una sontuosa Porterhouse con ottimo vino, deliziose birre prima e blody Mary ancora prima. Si partiva su questo furgone grigio con guida dapprima piuttosto prudente da parte di Michele e vieppiù sempre più spavalda. Su in alto, di mattina, per cercare una tavola calda ad Harlem, Sylvia’s su Malcolm X Boulevard, luogo assai storico e vera cucina famigliare. Poi moschea con palazzo annesso costruito un po’ di fianco e un po’ sopra. Sosta alla Columbus University con gente sapiente che corre pensierosa e freddo. Ricordo una sosta presso una casa vecchissima in cima ad una collina.
In un qualche imprecisato momento ci siamo diretti più a nord. Il Bronx risveglia solo pensieri memorabili, confusi, trame di film, sequenze cinematografiche, dispacci d’agenzia, morti e guerre tra bande, Bob De Niro e tanta altra bella roba. Arthur Avenue con le sue botteghe italiane in un abbacinante caos di mozzarelle sospese, salsicce, birra Peroni e un ottimo caffe da Ignazio, in un club insospettabile, nascosto dietro un’anonima porta che si apre in una traversa buia di Arthur Av. Foto di italianità alle pareti, il gagliardetto del FC Corleone attira la mia attenzione. Poi siamo tutti leggerissimi mentre ci incamminiamo verso il furgone prima di decidere dove andare a mangiare. C’é anche un ricordo fumoso e un po’ blurrato che ci vede tutti da Katz’s Delicatessen a iungurgitare chilate di pastrami. Forse era la sera della festa di compleanno di Mark, dopo aver assaggiato all’incirca 25 birre differenti da Ginger Man.
Scaffale degli orrori presso Gustiamo con amica di Capozzi. Per cena mi ricordo un Diner con un nome mitologico, tipo Poseidon (Neptune Diner), ad Astoria, sotto un viadotto a pochi passi da pozze di acqua morta circondate da cespugli sofferenti senza foglie e sacchetti di plastica stesi tra i rami come bandiere. Doppio Cheesburger Deluxe con potatoes e cetriolo. Poi forse rientro in albergo a Chelsea. La mattina dopo un caffé al volo a Brooklyn poi attraversiamo Williamsburg con le sue scuole talmudiche e ortodossia ebraica ovunque. Graffiti anti-Hillary Clinton sul marciapiedi, si passa accanto alla birreria Brooklyn Brewery ma non ci si ferma. Ci si dirige verso Brighton Beach, sulla penisola di Coney Island. Piscio in un bagno pubblico amplissimo sulla boardwalk. Vento sempre più insopportabile mentre camminiamo lungo la spiaggia totalmente deserta. L’acqua dell’atlantico è gelida quassù a New York.
Entriamo da Volna, un ristorante russo che si affaccia sulla boardwalk. A guardarlo dalla spiaggia è uguale identico ad un quadro di Hopper questo pomeriggio luminoso e deserto a Coney Island, con il vento che solleva la sabbia, i gabbiani che fanno casino e null’altro in giro. Pomodori, cetrioli e cavolo in salamoia, aringhe affumicate, beef stroganov, borsh georgiano, birra e vodka. La testa si fa pesante. Al rientro, prima di attraverssare Brighton Beach, un’ambulanza ebraica ci blocca la strada. Passiamo accanto al Verrazano Bridge, pian piano il sole scende e la sera si fa colorata. Cerco di fotografare maestose strutture metalliche dal furgone in piena corsa mentre ci dirigiamo verso Roosvelt Island, nel bel mezzo dell’East River. Qui un altro piscio tattico mentre scatto foto al Queensboro Bridge da sotto. La sera prima nel Village trascorriamo dei momenti epici dapprima da Mezzrow, scolandoci bourbon e asoltando un discreto trio chitarra, double bass e sax, poi usciamo, attraversiamo la strada e ci infiliamo di sotto da Smalls. In questa cantina tutta affollata David Gibson da fiato al suo trombone, Pat ha appena raccattato in strada un chiodo Cartier d’oro massiccio. Le panche in questo jazz club sono tutte occupate e Gibson é veramente cool mentre suona Inner Agent
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