Appuntamento con la Morte

Arrivato ora a Furnace Creek alle 3 del pomeriggio e fanno 126 Fahrenheit o 52.2°C per l’esattezza. Mi sono rintanato un momento al saloon per mandare giù una birra gelata poi parto per la consueta perlustrazione. Essere qua è sempre una gran figata. Il jukebox manda a country boy can’t survive, un pezzo country tamarrissimo che già avevo ascoltato anni fa. Ce l’ho salvato in mp3 a casa in qualche compilation.

Ok, sono tornato dalla mia fantastica perlustrazione e ho dovuto fare un passaggio abbligato all’Aguereberry Point che è anche il nome del primo brano mai composto e registrato sul mio 8 piste Zoom da me e Pat.

Ci si arriva prendendo la strada per il Wildrose Canyon e dopo una decina di minuti si imbocca una pista sterrata che ti porta su in alto verso il davanzale della Death Valley, un punto panoramico esclusivo dal quale si può ammirare tutta la parte meridionale della valle. Non è molto battuta questa strada tortuosa che si inerpica, percorrendo una gola abbastanza stretta, su per la sponda occidentale della valle. Erano le cinque del pomeriggio e non ho incontrato nessuno nè durante la salita, nè durante la discesa. In me rimaneva comunque la preoccupazione legata alla tenuta degli pneumatici. Mi ricordo che anni fa dovetti cambiare la ruota con quella di scorta a causa di una foratura. Le gomme che ho montate sulla mia Toyota non mi ispirano nessuna fiducia. Sono delle Continental di merda praticamente come quelle che bucai nel 2015, e non è bello cambiare una ruota a 51°C da queste parti.

Saloon e ristorante sono stati ristrutturati qui a Furnace Creek e sinceramente preferivo prima. Oggi sembra tutto più grande ma è necessario prenotare e il ristorante è abbastanza caro. Un tempo arrivavi a qualsiasi ora e ti accoglievano alla grande in un ambiente un po’ più famigliare. Gli alloggi sono identici e pur sempre spettacolari considerando la severità della location. La bistecca era ottima e necessaria ma ne avrei mangiate altre quattro. Ora attendo il dessert, una torta ai datteri con gelato poi uscirò nell’oscurità del deserto e mi fumerò un sigaro per coronare questa giornata che era cominciata con la fuga da Las Vegas ed è terminata con me che contemplavo nel silenzio la valle dall’alto, nel luogo che un prospector di origini basche, morto nel 1945, aveva scovato creando una pista che dal suo accampamento saliva su fino a quasi 2000m.

Questo pomeriggio, prima di arrivare alla Death Valley facevo una sosta ad Ash Medows, un’oasi abbastanza spettacolare in un deserto impietoso. Mentre cercavo di avvicinarmi alla riva delle Crystal Springs camminavo su questi panettoni tremolanti di terra crepata lungo le sponde. Sembravano sorreggermi senza problemi fino al momento in cui la mia gamba sinistra é affondata fino al ginocchio in una melma fangosa grigia e calda. Per fortuna sono riuscito a recuperare la mia scarpa ma avevo un problema. Non potevo entrare così in automobile. Mi son fatto un giro di una mezz’ora cercando di far seccare la melma il più possibile. Ho cercato di coprire tutto con sabbia finissima. Poi alla fine sono partito e poco prima di arrivare a Furnace Creek c’è in effetti un ruscello che poi credo dia il nome alla località e li finalmente mi sono potuto lavare scarpa e gamba.

Anche Badwater da il titolo ad un brano che abbiano suonato e registrato agli albori.

Vista Point a 51°C

Un cestello di Sierra è ora sempre con me, è il mio fedele compagno di viaggio come pure una simpaticissima bottiglietta da 375ml di Maker’s Mark Kentucky Straight Bourbon. Si arriva in motel la sera e il cestello finisce subito nel frigo. Poi esco a cercarmi una bella tavola calda messicana in cui mangiare una succulenta enchilada accompagnata da una freschissima Tecate con boccale di birra ghiacciato e chili on the edge.

tecate

Ieri ho eseguito abbastanza in scioltezza una lunga discesa seguendo la Cabrillo highway, questo è il nome che porta la 1 qua nel sud della California. Un festival ininterrotto di “vista points”. Verso sera ho cercato di evitare Los Angeles passandole accanto da nord per poi proseguire in direzione di Indio.

L’esercizio di oggi primo luglio consisteva nel raggiungere per sera Furnace Creek all’interno della Death Valley. Ho trascorso la mattinata a fare panoramiche nel Joshua Tree National Park.  Durante la tappa di avvicinamento alla Death Valley oggi ho registrato la temperatura massima di 118 °F = 47 °C. Ma nel tardo pomeriggio, dunque se domani avrò fortuna potrò cercare di battere il mio record personale di sopravvivenza nella calura estrema.

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Mercoledì 2 luglio.

Mi sveglio abbastanza presto nonostante abbia dormito eccellentemente. Inoltre ieri sera ho potuto gustare una cena favolosa qui a Förnes con un ottima ribeye steak tagliata e ricoperta da una prelibata salsa ai funghi con un ottimo puré di patate con fiori di cappero e qualche allegro asparago grigliato. Tutto accompagnato da una deliziosa Sam Adams Summer Ale a me sconosciuta ma  assai gradita. In questo posto si mangia veramente bene. Qui in questo angolo inospitale del pianeta terra c’é un resort che offre un discreto comfort, dell’ottima carne alla griglia e delle graditissime birre fresche alla spina. Probabilmente é la stessa situazione climatica di certi deserti libici, senza resort, senza carne alla griglia e senza dell’ottima birra alla spina. Ci pensavo un po’ anche ieri durante l’avvicinamento alla Death Valley. Mi dicevo che tutto sommato il paesaggio che mi passava davanti agli occhi avrebbe potuto essere l’Afganistan, senza Talebani però, per il resto uguale!

Ma torniamo a questa mattina:

Salto in auto tutto bello giulivo alle 08:00. Mi sono comperato allo store del ranch tre mele con le quali pranzerò oggi e mi porto in auto circa 3 galloni d’acqua, non si sa mai. Per la mattina decido di andare a dare un’occhiata ai crateri di Ubehebe  su nell’angolo a nord del parco, a pochi passi da Scotty’s Castle. Percorro i 91 km che da Furnace Creek mi portano allo Ubehebe Crater in poco più di un ora senza incontrare nessuno lungo la strada. Fermo l’auto ai piedi di questo giovane vulcano (non più di 2000 anni a quanto pare) e comincio a percorrere il crinale del cratere maggiore. Tira un vento micidiale e tra me e me mi dico che qualche anno fa, quando decisi di scattare alcune panoramiche in questi luoghi, fui eroico. Questa volta non me la sento e scatto solo still. Alla sinistra del cratere seguo con l’occhio la linea bianca della strada sterrata che da Ubehebe parte per raggiungere dopo 27 miglia  la Racetrack Playa, lo strano luogo dove nel mezzo di una vasta pianura, dei grossi sassi sembrano aver lasciato delle scie lungo il tragitto da essi percorso. Mai nessuno ha visto questi sassi muoversi ma le scie stanno li ad indicare uno spostamento inequivocabile. Mah…

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Al termine della mia visita al cratere decido di inerpicarmi lungo la prima tratta della pista che porta alla Racetrack Playa. Non ho intenzione di percorrerla tutta, non sarebbe saggio. Non sono sicuro che la mia auto abbia i “numeri” per affrontare questa pista e poi mi dico che magari dovrei avvisare qualcuno prima di percorrerla, giusto perché qualcuno sappia dove mi trovo nel caso succedesse qualcosa. Comincio a farne un pezzo, poi tornerò indietro e domani mattina ci riproverò per davvero: passerò prima alla Grapevine Ranger Station, farò vedere l’auto e chiederò se é tutto in regola per affrontare la tratta. Questo pomeriggio avrei inoltre intenzione di ripercorrere la tratta lungo il Titus Canyon, che già percorsi in altre occasioni. Mi dico che potrei utilizzarla come termine di paragone chiedendo ai rangers se per Racetrack Playa la difficoltà é simile.

Questi sono i pensieri che mi frullano per la testa mentre affronto le prime miglia di sterrato verso Racetrack Playa anche se una vocina comincia a dirmi che potrei tentare di raggiungere la destinazione anche oggi magari. Non sarebbe prudente, cazzo! E se succede qualcosa? E magari oggi non ci va nessuno e rimango la da solo, con tre mele e otto litri d’acqua?

IMG_0698Vabbé, arrivo fino la su in cima e poi torno indietro. Mentre formulo questa ipotesi si accende una nuova spia mai vista prima sul pannello di controllo della mia Jeep. Allarme! Dice Low Tire. Che cazzo é? Ci sarà stato un calo di pressione nelle gomme, boh… Rallento e mi fermo. Già andavo abbastanza lento. Esco dall’auto nella calura assurda che l’aria condizionata all’interno mi aveva fatto dimenticare e cerco di capire che cosa sta succedendo. Sono a quasi 100km da Furnace Creek e da alcune miglia ho imboccato lo sterrato che porta a Racetrack Playa. Qua dove sono non mi vedrà nessuno, per giorni magari.

Tra l’altro qua dove mi trovo non c’é campo e il telefono non serve ad un benemerito cazzo di niente.

Faccio il giro dell’auto, qua tra le pietre, per capire che cosa sta succedendo. Arrivo alla ruota posteriore destra e per un istante mi si ghiaccia un po’ il sangue, giusto un istante. Sta si-bi-lan-do a balla! Esce aria dal copertone-figlio-di-puttana di questa scheisse-Jeep. Porca puttana se sibila. Si sta sgonfiando la ruota della mia auto mentre sono qui da solo nel nulla desertico e il pannello di controllo figlio di troia mi dice che ci sono 51 °C all’ombra! Caaaaaaaaaaaaaaazzzzzzzzoooooooooo! Mi ricordo bene che dissi “SHIT”! In inglese. Strano sto fatto qua. Quasi un po’ cinematografico! Come se per un micro-istante si trattasse di finzione “oliverstoniana” alla U-Turn. Io sono Sean Penn, mi é saltato il motore e fra un po’ arriverò all’autorimessa sgangherata di Billy Bob Thornton. Nessuna Jennifer Lopez da queste parti però.

E allora Texo pensa in fretta! Ma molto in fretta, cazzo! Cosa fai adesso? Tu, turistello imbecille, che ti sei sparato due caffe e un tè a colazione a Furnace e adesso sei nel deserto con una gomma dell’auto a terra. Un po’ come se ti trovassi in mare, circondato dagli squali su un gommone che si sta sgonfiando.

Salto in auto e riesco a malapena a girarla, la pista quasi non me lo consente, ma io non posso andare ancora avanti sperando di trovare un posto in cui girare. Riesco a girare a malapena e comincio a correre a tutta birra alla disperata ricerca dell’asfalto, perlomeno. Se mentre salivo andavo a non più di 25 miglia orarie, adesso sto tornando indietro a quasi 50. Devo fare attenzione a non ribaltarmi, cazzo. Dov’é l’asfalto cazzo!!!

Dopo una decina di minuti ritrovo l’asfalto a Ubehebe Crater ma adesso devo volare. Non posso fermarmi qua con un vento a 100 Km/h e 50 °C per cambiare la ruota. Mi ritroverebbero tra qualche settimana mummificato, ancora attaccato alla ruota.

Mentre volo verso la Grapevine Ranger Station tendo l’orecchio per capire se la ruota tiene ancora o se comincio a sentire quel flap-flap-flap-flap di cautchu spiegazzato e molle che rotea nell’aria. Arrivo alla ranger station, la gomma é a terra e chiaramente non c’é nessuno.

Apro il vano della ruota di scorta con il sole che martella il cranio e dentro c’é quella ruotina un po’ focomelica che la noti sempre quando vedi qualche auto sfigata che la indossa a Lugano. A LUGANO, ripeto, in primavera, estate, autunno o inverno, tra i 27 e gli zero gradi, non nella Death Valley, ripeto, VALLE DELLA MORTE, ripeto ancora, DELLA MORTE, cioe “cessazione di quelle funzioni biologiche che definiscono gli organismi viventi” secondo Wikipedia.

Una decina di minuti buoni mi servono per capire come si usa il crick che alla fine riesco ad operare sotto la Jeep. Sto grondando come se avessi fatto un tuffo a testa in una piscina piena di sudore. Faccio schifo anche a me. L’asfalo scotta tantissimo, e devo fare delle pause ogni volta che mi ci appoggio sennò mi ustiono. Intanto non passa assolutamente nessuno. E mi trovo nuovamente in strada, non su di uno sterrato che magari non tutti affronterebbero, ma da qua passa la strada che porta a Tonopah.

Eccheccazzo é TONOPAH? Ma chi va a TONOPAH, e per fare cosa?

Dopo alcune tribolazioni riesco finalmente a sostituire la gomma e adesso devo capire che cosa devo fare. Non posso andarmene in giro per la Death con questo ruotino ridicolo e sperare pure di arrivare a Vegas venerdì. Devo chiamare la Alamo per notificarli dell’incidente e per chiedere cosa devo fare adesso. Ma poi non avevo mica fatto un’assicurazione che mi copriva pure i costi per qualsasi incidente nel quale avrei potuto incappare? Per fortuna alla Ranger Station di Grapevine c’é un telefono dal quale posso chiamare il 1-800 della Alamo. Long story short sto al telefono circa un’ora con un cordialissimo operator che infine mi propone la seguente opzione:

in 120 minuti arriverà da Pahrump un towing truck che mi porterà un minivan e prenderà in consegna il mio Mid-size-SUV. Non riescono né a trovare qualcuno che mi ripari la gomma né un SUV sostitutivo. Accetto.

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Alle tre del pomeriggio mi ritrovo infine con questo Dodge Caravan SXT e dimentico nella Jeep che il towing man si porta via un ottimo CD di Bluegrass che avevo assemblato per il Maggie prima della partenza. Dopodomani ripasserò da Pahrump per andare a Las Vegas e mi fermerò dunque da Aquarius Towing per vedere se hanno ancora la Jeep merda con il mio CD.IMG_0700

23 miles of perfection

Bene, adesso non vorrei apparire coglione qui al bar del TI mentre scrivo e mi ciuccio un buon Booker’s. Questo pomeriggio mi sono letteralmente massacrato a fare su e giù per Las Vegas Boulevard.

vegas

Adesso ho le gambe distrutte, ho già buttato nel cesso 40$ in un attimo ma ho mangiato da re al Buffet dell’Harras. Adesso cerco di perdere altri 60$ poi mi fermo. Oggi sono ancora riuscito a percorrere l’ennesimo tratto di 66 da Kingman fino a Oatman. Il caldo nel frattempo si é fatto notevole: 116 F, che non so quanto sia, ma qui nel deserto paiono un fottio di gradi allucinanti.

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Prima di arrivare a Oatman mi sono fermato ad una piccola e isolata pompa di benzina. Anche qui come mi era già capitato in passato mi sono trovato confrontato con il proprietario assai diffidente: Where are you from? Germany? No, Switzerland Dev’essere costosa l’attrezzatura che ti porti dietro, perché sei qui? Mah, prima di tutto volevo comperare qualcosa da mangiare poi se non ci sono problemi avrei l’intenzione di scattare una fotografia qui fuori. Perché vuoi scattare una foto? Perché mi piace il posto. Poi ha cominciato a spiegarmi che l’edificio é registrato nel patrimonio nazionale e che non ha nessun problema a fare scattare foto e quant’altro a patto che non si vendano o che perlomento gli si chieda il permesso. Qualche tempo addietro aveva avuto una brutta esperienza con un tedesco che si era mostrato molto aggressivo nel momento in cui lui gli aveva fatto qualche domanda in merito all’utilizzo delle foto. Per cui da allora lui é diffidente e io aggiungerei un po’ paranoico. Un omone dall’aspetto e dall’atteggiamento simili a quelli di John Goodman in “The Big Lebowski”. La valle di lacrime, per intenderci.
Dopo averlo tranquillizzato sulle mie intenzioni si é calmato e ha cominciato a raccontarmi delle storie. Gli ho detto che oggi era veramente caldo e lui mi ha risposto Oh yea, hot as hell, actually I’ve been to hell. The devil took a bite of me and let go over. Sai, io sono morto una volta. Mi dice serio e poi mi fissa. Ah si? Rilancio io mentre cerco di capire se mi trovo davanti ad un pazzo scatenato oppure a qualcuno che ha una strana storia da raccontare. Mi trovavo in un campo a lavorare con dei macchinari per l’irrigazione (così mi pare di aver capito) che funzionano con nitrogeno e sono stato colpito in pieno petto da una spruzzata di gas a -200°. Ho smesso di respirare e dopo un po’ mi son visto da 100 metri d’altezza, Vedevo me a terra e mia moglie che cercava di soccorrermi. Poi sono riuscito a fare il primo respiro e sono ritornato a terra. Poi mi ha pure raccontato del roadrunner che viene a mangiargli dalla mano. L’unico uccello che non vola e mangia carne di prede che lui stesso uccide. Arriva fino a 70 miglia di velocità mi dice e uccide i serpenti a sonagli. Io non ho mai nemmeno capito se si tratti di un animale vero oppure solo di un disegno animato.

Intanto mi son fatto un’ottima Sam Adams per colazione.

E’ sempre speciale passare la notte nella Death Valley, solo che questa volta non mi trovo a Furnace Creek bensì a Stovepipe Wells. Lo stile é un po’ più spartano ma questo aggiunge più fascino al pernottamento. Questa volta il mio avvicinamento alla Death e avvenuto da est e in effetti é un’esperienza un po’ meno mistica, se mi é concesso, dell’arrivo da ovest. Di solito si comincia con la lunga discesa da Yosemite che ti immerge progressivamente in un ambiente sempre più desertico, poi c’é il passaggio attraverso Bishop dove di solito ci si ferma per un tardo pranzo e per una birra preparatoria. Poi si riparte e a Lone Pine si volta a sinistra. C’é l’impatto con quella che abbiamo ribattezzato Pre-Death (Panamint Valley, in verità). La prima volta che venimmo in USA pensammo che si trattasse della Valle della Morte vera e propria. Poi ci fu lo stupore quando cominciò la lunga discesa verso Stovepipe Wells e la Death Valley.

Questa volta niente di tutto ciò. Sono partito alle 9 e 30 da Las Vegas, ho fatto il pieno a Pahrump con grande rifornimento d’acqua (2 galloni e mezzo = 7 litri) e poi in un istante ero già nella Death.
Percui prima tappa pomeridiana al Dante’s view point su in alto (quasi 2000m d’altezza) Temperatura perfetta. La valle sta proprio sotto e io so che questo benessere é solo un’illusione. Comincio quindi a scendere fino a Furnace Creek e il termometro sale fino a 121 F e stare fuori dall’auto é un’impresa. Fantastico. Ho quasi paura che la mia attezzatura fotografica fonda. Supero Furnace e vado a depositare le mie cianfrusaglie a Stovepipe. Il pomeriggio lo dedico a Pete Aguereberry visitando e fotografando il suo accampamento e rivisitando il punto panoramico da lui scoperto.

Oggi sta per terminare il mio secondo giorno di esplorazioni qui nella valle della morte cominciato questa mattina alle 5 e 30 con una sveglia spontanea dettata anche da un brutto incubo che ho avuto. Strano perché il sogno stava andando alla grande: avevo conosciuto Bruce Springsteen. Vabbé, dicevo che mi sono svegliato presto percui ho deciso di assistere alla sorgere del sole questa volta sulle dune di sabbia che si trovano proprio qui vicino a Stovepipe Wells.

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Timing perfetto come al solito e un paio di panoramiche abbastanza pregevoli a mio avviso, poi ritorno a Stovepipe e colazione veloce, poi partenza in direzione di Beatty per fare il pieno all’auto. Riparto da Beatty e vedo la deviazione per Titus Canyon. L’ultima volta ci ero passato praticamente di notte e si era trattato di una discesa assai suggestiva. Adesso però ho voglia di farmela con la luce. Mi auguro solo che il mio Toyota sia veramente un 4×4 e non uno di quei Rav 2WD, ma c’é scritto 4WD perciò dovrei stare tranquillo. Comunque la spia 4WD sul cruscotto non si accende mai. Inoltre ieri l’auto ha cominciato a fare degli strani rumori e non é proprio il caso di immerdarsi lungo il tragitto che sto per percorrere. Diciamo che non é una strada battutissima.

verso-leadfield

Comincio a percorrerla e mi rendo presto conto che non ci saranno problemi. Dopo un ora arrivo alla ghost town di Leadfield e finalmente vedo le poche baracche rimaste ancora in piedi.

leadfield

Vado subito a scattare un po’ di foto. La temperatura e più che accettabile (36/37) e comincio così la lenta discesa lungo il Titus Canyon. Le pareti sono ancora più alte di come me le ero immaginate di notte. Dopo 2 ore e mezza complessive esco finalmente dal canyon e mi preparo per una nuova esplorazione. E’ già mezzogiorno e vado dunque a prendermi qualcosa da mangiare. Uscendo dal Canyon la temperatura si fa sempre più estrema e quando arrivo a Stovepipe siamo sui 48 °C.
48
Decido però di viaggiare con i finestrini abbassati e senza aria condizionata giusto per sperimentare la calura estrema. Dopo un po’ mi abituo e mi sembra di viaggiare in una sauna.

Questa sera sono andato a mangiare a Furnace Creek. La strada da Stovepipe a Furnace mi ha visto ritrovare la totale armonia. 23 miglia di perfezione fisica e mentale. Steve Earle col suo rispettoso omaggio a Townes Van Zant era la colonna sonora naturale. Il sole é già calato da un’ora e la luna é già alta in cielo. Ne avevo bisogno.
Questo pomeriggio mi sono massacrato per prendere qualche panoramica a Ubehebe Crater. Tirava un vento pazzesco con il sole che tritava il cervello. Nel tentativo di prendere una panoramica tra due crateri minori sono scivolato e mi sono sbucciato gomiti, ginocchia e mani come un dodicenne coglione. La pelle secchissima e impolverata poco si addice alla ghiaia lavica affilata e rovente di Ubehebe Crater. In un tutto grigio-chiaro-ocra il mio sangue ha veramente un che di artistico… Torno all’automobile dolorante e sanguinante e questa volta, fanculo, accendo l’aria condizionata e ritorno a Stovepipe.
Intanto qui alla Steakhouse di Furnace sono stato servito dallo stesso cameriere fröss dell’ultima volta. Indimenticabile! Gentilissimo e frocissimo. Il vino che sto bevendo mi fa venir voglia di rifare un passaggio in Napa ma comunque ho la borsa piena di Kentucky Bourbon. Questa sera dovrò dare un’occhiata al tracciato per arrivare a Frisco in tempo. La voglio fotografare in lungo e in largo e mi preparo agli acquisti rituali presso i negozi di musica a Haight Ashbury e altre stronzate varie. Frisco! Che stato d’animo questa città… San Francisco é la musica che ascolto: David Crosby, Jefferson Airplane, CSNY me la evocano immediatamente.

Ma porca trojjjaa quanti francesi ci sono in giro da queste parti. Vincono in numero su tutte le altre nazioni 10 a 1.

Il sole spacca i sassi

In un momento di delirio, catalizzato dal caldo, mi sono ritrovato a venerare un cespuglio verde carico di gocce di rugiada, che resiste in un ambiente assolutamente inospitale, in un luogo in cui il sole riesce a spaccare i sassi.

Qui una pianta, viva, riesce a stare esposta ai raggi solari per una vita intera, senza bruciare. Non si sposta, non si mette all’ombra. Questo cespuglio é l’essere supremo.

Io cammino contaminato su questa terra e in questo luogo non avrei nessuna speranza di sopravvivenza. Sono solo di passaggio e questa sera probabilmente affonderò i denti in una succulenta T-Bone Steak innaffiata di Sierra Nevada Pale Ale da qualche parte in qualche piccolo paese in questi immensi deserti. Solo così posso sopravvivere io. Ma il cespuglio in questione si accontenta veramente di pochissimo e si ingegna per ricavare il massimo dal minimo. Che esempio da seguire. Io venero questo cespuglio. Lo rispetto più di ogni altra cosa in questo momento. Non esiste nient’altro.

Ma che dire del ciclista che abbiamo incontrato in agosto, vestito di nero. Pedalava barcollando in mezzo alla Valle della Morte. Procedeva lento.

Ghost Town

Comincia a calare l’oscurità, stiamo rientrando da una lunga giornata di esplorazioni desertiche in cui a tratti caldo e disorientamento ci hanno accompagnato. L’aria ribolliva e saliva tremando come sopra ad un fuoco acceso. Abbiamo camminato nella calura, attraversato strette gole e tentato risalite impossibili. Le orecchie mi fischiavano nel silenzio e io mi immaginavo di sentire le note riverberate della chitarra di Gary Lucas: suoni ipnotici, stupefacenti, narcotizzanti. Ho provato a guardare il sole oggi e la mia vista é diventata per un po’ caleidoscopica. Sono diventato per un momento un film di me stesso. Mi sono immaginato moribondo, morso da un serpente, punto da uno scorpione, abbandonato dal corpo… Marcio. Barcollante, ferito, stordito e infine secco e stecchito.

La strada del ritorno presenta un bivio. Da essa parte in diagonale una “unpaved road” che sulla mappa conta una cinquantina di chilometri. Io amo le unpaved road! Sono tutte incertezza e insicurezza. Piene di sorprese. Non esitiamo e imbocchiamo la diagonale. Si procede a 30 Km/h per 15 km circa. Intanto il cielo diventa sempre più scuro. Allo zenith é blu scuro e scendendo sulla terra diventa sempre più nero mentre si impasta di marrone. Raggiungiamo il Red Pass con ancora poca luce.


Ci fermiamo proprio sul culmine di un dosso, in una valletta a forma di sella. La strada scende da una e dall’altra parte del dosso come una corda floscia e scompare dietro le prime colline ma ad est l’abbiamo appena percorsa mentre ad ovest é tutta uno scuro mistero. Si brinda con una birra consapevoli del fatto che per oggi saremo sicuramente gli ultimi a percorrere questa strada. Faccio delle riflessioni sugli ultimi 10.000 anni di preistoria/storia umana. Si riparte e per il momento la strada é simile a come l’abbiamo percorsa salendo. Nonostante queste prime impressioni il percorso si fa più tortuoso e accidentato. La discesa, invero, é sempre più preoccupante della salita. La strada, dopo aver danzato sulle cime di alcune colline svolta brusca a destra e si getta in una voragine buia, tutta aggrappata a monte. La scruto dall’alto e penso che sarà incredibile arrivare in fondo. Oramai si procede quasi a passo d’uomo. Il terreno sdrucciolevole pieno di buche sbanda l’auto a destra e a sinistra. Procediamo per un’ora in queste condizioni. Oramai é ufficialmente buio pesto all’interno di queste gole anche se in alto si ritaglia un timido cielo stellato. Ovviamente non abbiamo idea né di dove siamo esattamente, né di quanta strada abbiamo percorso. Ci auguriamo solo di non aver sbagliato percorso. Sto considerando che vista la strada fino ad ora percorsa non sarei in grado né di voltare il veicolo né tantomeno di tornare indietro. Dopo alcuni minuti raggiungiamo il fondo di questa gola e dopo una curva i fanali dell’auto si fermano davanti ad un cartello.

Fermo l’auto e cerco (ma forse no) di non farmi suggestionare. E’ oramai notte, non sappiamo bene dove ci troviamo ma sicuramente in un luogo abbastanza inaccessibile (di notte perlomeno) e un cartello indica che davanti a noi nel buio c’é una “ghost town” (cittadina fantasma). Fantastico! Scendiamo dall’auto e cerchiamo di spingere lo sguardo nel buio senza successo. Oltre ad essere fantasma, in questo momento non riusciamo neanche a scorgerla. Mi passano davanti agli occhi le immagini di Silent Hill e decido che VOGLIO lasciarmi suggestionare. Il silenzio ci avvolge, ma se dovessi udire qualcosa… la suggestione sarebbe completa. Stappiamo un’altra birra per celebrare questo momento unico.
Il cartello recita:

Leadfield
This was a mining boom town founded on wild and distorted advertising. 300 hopeful people swarmed here and a post office was established in august 1926. In february 1927 the post office closed and the town died.

Ripartiamo con una strada che si fa più agibile. Entriamo in una gola stretta e tortuosa con pareti che si alzano di 30 o 40 metri ai bordi della strada. Il percorso mi sembra infinito e impossibile. Quanto può essere lungo un canyon cosi stretto?

20 Km di buio, serpeggiando con calma sul fondo del Titus Canyon. Impieghiamo un ora e mezzo per uscire dal canyon ma sono letteralmente accompagnato dai miei pensieri che in mancanza di luce hanno reinventato tutto: le pareti del canyon, le creature che lo popolano e quelle di passaggio con la mia testa, le più incredibili…

Badwater

Il cranio pulsa, l’atmosfera preme sulla fronte e il sangue – denso – sembra faticare nelle vene. La pelle scotta e i capillari si spaccano. La polvere sale, sbatte a destra e a sinistra.
L’aria calda stordisce. Tutt’intorno il silenzio fa sentire il rumore dei pensieri, le orecchie fischiano e i passi sono sordi. I pochi arbusti secchi sembrano morti e nessuna consolazione arriva dalla pozza di “agua amarga”.
Nessuna consolazione…

mp3: Badwater
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Aguereberry Point

aguereberrymp3: Aguereberry Point
[audio:http://www.texos.ch/media/Aguereberry%20Point.mp3|titles=Aguereberry Point]

aguereberry-1Pete Aguereberry morì il 23 novembre 1945 presso la miniera di Eureka, dove visse e lavorò per più di 40 anni. Negli ultimi anni di vita Pete accompagnava i suoi ospiti a quella che egli definiva la “Grande Vista” sulla Valle della Morte. Una strada in terra battuta conduce a quello che in seguito fu chiamato Aguereberry Point, in suo onore.