4:47

mp3: Gamcem
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Ora ricordo quella mattina quando ci svegliammo alle 04:47. Martedì. Con l’orologio biologico ancora stravolto dal volo fu impossibile riaddormentarsi. Avevamo attraversato l’oceano per cercare un viaggio diverso, che a grandi linee avevamo già disegnato nelle nostre intenzioni. Arrivammo nel Sud Ovest degli Stati Uniti con l’intenzione di cercare la solitudine dei deserti, di uscire dai percorsi classici. Volevamo panorami mozzafiato, distese immense, birre celebrative, whiskey celebrativi e viaggi interminabili. Stade da percorrere sotto il sole da mattina a sera.

Tutto comincia con un clamoroso inconveniente. Siamo entrambi senza bagagli. Tutto é andato perduto tra Milano, Parigi e San Francisco probabilmente a causa di un ritardo dovuto alla nebbia che ci fa perdere la coincidenza a Parigi e ci costringe a dormire una notte a Roissy. Abbiamo solo gli abiti che indossiamo e cominciano ad essere imbarazzanti. Io francamente puzzo già di merda. Pat non so, ma forse pure lui. Nel paese degli acquisti (in senso lato) arriviamo di domenica e non c’é verso di trovare un ricambio completo. Ci arrendiamo allo sporco anche se in extremis compriamo in una farmacia di San Bruno dentifricio, spazzolino, e delle orrende magliette con con la scritta “San Francisco”, destinate sicuramente ad un mercato di ottuagenari morenti.
Ieri sera camminavamo per le vie deserte di Roissy (esiste questa cittadina a lato dell’aeroporto di Parigi. Qui in USA la chiamerebbero una “living ghost town”). Vivo questa serata come una delle più surreali della mia vita. Io e Pat siamo completamente persi in un altra dimensione mentre cerchiamo quasi disperatamente dei segni tangibili di vita in questo soleggiato pomeriggio da fine del mondo. Anzi , il mondo é già terminato e come nella “Nube Purpurea” di Matthew Shiel, siamo in giro a zonzo ma non c’é nessuno. Sono tutti morti. Solo tornando in albergo riacquistiamo la percezione dell’umanità che però perdiamo di nuovo dopo cena quando ci permettiamo del Cognac sopraffino che arrotonda per bene i nostri prodigiosi cervelli messi a dura prova durante questo bizzarro pomeriggio.
Ma torniamo a Martedì. Siamo in un motel molto “cheap” a Merced, la “porta del Yosemite”. Ieri ancora un tentativo di recupero dei bagagli all’aeroporto di San Francisco andato a puttane. I miei ricompaiono, ma quelli di Pat sembrano scomparsi per sempre.”Why are you here?” ci dice una responsabile del ritiro bagagli di Air France con un inglese irrimediabilmente compromesso da uno sgradevole accento francese. “I told you not to come”. L’avevamo già dovuta sopportare il giorno prima, al nostro arrivo. “We will call you when the luggage arrives”. Decidiamo lo stesso di partire per il nostro viaggio.

E’ veramente molto presto. L’orologio digitale lampeggia: 04:47 – 04:47 – 04:47 – 04:47 – 04:48. Con una mano sollevo la tenda per vedere fuori. Le prime luci dell’alba fanno capolino. Adoro questi momenti. Un paio di pickup sono parcheggiati qua fuori. Non c’erano ieri sera quando siamo arrivati. Siamo svegli e decidiamo senza indugio di partire. Impacchettiamo la nostra roba, anzi lo faccio solo io perché Pat non ha niente con se tranne spazzolino e dentifricio. Saltiamo in auto e andiamo a cercarci un caffé e qualcosa da mangiare da un benzinaio. Ripartiamo immediatamente dopo e beviamo “on the road” come si conviene. Le strade sono ancora deserte e buie. Attraversiamo tutta Merced ed imbocchiamo la 140 che ci porterà dritti a Mariposa, verso il Yosemite Park, arrampicandoci su per la Sierra Nevada. Stiamo correndo lungo questa strada di campagna che comincia ad illuminarsi. E’ tutto giallo d’erba secca, arsa dal sole con la radio che manda “Going to California”! Non sembra vero. Vedo girare le pale delle “windpumps” che costeggiano questa magnifica strada che ci porterà sulle maestose montagne di roccia del Yosemite.
Attendo il Yosemite ma in verità non vedo l’ora di attraversare il Tioga Pass per cominciare la lunga discesa che mi farà scavalcare la Sierra per scendere verso Bishop, alle porte della Valle della Morte.

California

Direi che é finalmente giunto il momento di parlare di California. Non avrei neanche bisogno di pensarla. In fondo mi basterebbe ascoltare una qualsiasi canzone di Crosby, Stills & Nash per calarmi immediatamente nella sua atmosfera. Dai deserti del sud alle montagne della Sierra Nevada, dai boschi di sequoie alle fresche spiagge del nord, dalle colline di San Francisco alle strade vuote di Salton City. Stiamo rientrando a San Francisco da nord. Stiamo scendendo da Vallejo e tra un po’ attraverseremo il San Rafael Bridge. Il sole sta tramontando. Un serpente di luci rosse ci corre davanti. Io sto pensando che questa sera cenerò da qualche parte a Chinatown in un ristorante cinese nascosto in qualche viottolo e poi andrò a cercarmi una buona birra alla San Francisco Brewing Company in Columbus Avenue.

In questo momento le note di Old Man di Neil Young stanno dando un senso alle immagini che scorrono davanti ai miei occhi. Vedo passare veloci, autorimesse, recinti, verande, case basse, edifici commerciali, palme, cani randagi, auto sgangherate e barboni. Tutto colorato di arancione dal sole basso. Le colline sono bruciate, non c’é il verde. Un senso di pace totale mi avvolge. Mi sento parte del paesaggio.
Entriamo a San Francisco seguendo la 101 fino alla svolta in Van Ness Ave. che percorriamo fino all’incrocio con Bush St. che ci conduce in centro. Troviamo una pensione che fa al caso nostro. Scarichiamo felici le nostre borse e percorriamo i corridoi ricoperti da uno spesso tappeto dall’inequivocabile puzzo di merda sotto il quale scricchiola il pavimento di legno. La camera, dal sapore antico, é stata imbiancata di recente. Un folto gruppo di bonzi tibetani cammina veloce ma a passi brevissimi. Forse non toccano nemmeno terra. Scendiamo in strada e prendiamo la direzione di North Beach. Benediciamo barboni e puttane prima di alleggerire le nostre menti con un buon Bourbon. Il cielo é ora coperto dalla solita nebbia bassa che sale fredda dal Pacifico. Le luci della città la colorano di arancione. Cerco di capire se i sigari che mi sta vendendo un tizio, siano veramente cubani come lui pretende. Li sto già gustando con gli occhi. Quasi non mi importa che siano buoni. Più tardi saranno indispensabili quando sarà notte fonda e io sarò appoggiato alle sponde di legno di qualche pontile, giù alla baia, cercando di stare in piedi, inspirando a pieni polmoni l’aria salmastra dell’oceano. Scruterò le luci dall’altra parte della baia, Sausalito, Richmond, Berkeley.Abbiamo cenato in un piccolo e luminosissimo ristorante a China Town e ora di fianco a me un pescatore di granchi cinese getta le sue nasse nel buio sotto il pontile. Dal molo 39 arrivano i discorsi ingarbugliati dei “sea lions”. Sorrido con le palpebre semi-chiuse e tiro una sontuosa boccata di sigaro pseudo-cubano. Butto fuori il fumo che tento di seguire in aria mentre si perde salendo. Penso all’odore dell’aria. “Ma ha un altro odore l’aria da queste parti?” Mi voglio godere questo istante insignificante. Mi concentro e mi dico che dovrò ricordarmi per tutta la vita che questo momento merita di essere ricordato. Non sta accadendo niente e dunque voglio che questo istante, altrimenti destinato all’oblio, mi regali una manciata di ricordi in più. Penso a domani mattina. Penso al VIAGGIO.
Rientriamo barcollanti alla nostra pensione. Per strada incontro un bel ventaglio di umanità diseredata e senza volerlo il mio sguardo passa dalle persone sdraiate al bordo della strada ai rifiuti buttati negli angoli, incrostati nelle pieghe della strada, accatastati nei viottoli.

Adesso si dorme. Domani si vedrà…

mp3: Burn The Book
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Treasure hunting

Adoro le arti marziali. E’ strano ma non é un mistero.

Qualche giorno fa ho appreso della scomparsa del grande Evan Tanner. La notizia mi ha sorpreso ma non più di tante altre. Comunque prima ancora di conoscere le circostanze della sua morte avevo il presentimento che se ne fosse andato in modo non convenzionale. Dopo qualche veloce ricerca sulla rete ho capito che le circostanze della sua scomparsa avevano un filo diretto con ciò di cui parlo su questo blog. Il deserto ha un misterioso potere sulle persone. E’ il luogo in cui si sta soli con se stessi. Lo scenario perfetto per capire se stessi, per rimettersi al centro della propria vita, per rivalutarsi senza distrarsi.

Il corpo di Evan Tanner é stato trovato nel deserto nei pressi della Palo Verde Valley, Imperial County nel sud della California, lunedì 8 settembre, ad alcuni chilometri dal suo accampamento. I primi rilevamenti sembrerebbero ricondurre la causa della morte agli stenti dovuti alle alte temperature prossime ai 50°C.

Tratto dal blog di Evan Tanner:

“Non vedo l’ora di stare seduto, fuori nella quiete del deserto a mezzanotte sotto un cielo blu profondo, ascoltando la calma brezza del deserto. L’idea di andare nel deserto mi é venuta immediatamente dopo il trasloco a Oceanside. E’ stata motivata dai racconti della mia amica Sara sulla caccia al tesoro, sull’oro perduto, e dal mio insaziabile appetito per l’avventura e l’esplorazione. Ho cominciato ad immaginare cosa avrei potuto trovare negli angoli più nascosti del deserto inesplorato. E’ diventata come un’ossessione.

“Tesoro” non significa necessariamente qualcosa di materiale.

Oggi sono andato a comperare alcune cose e con il solitario pensiero della quiete del deserto nella mia mente, non ho potuto fare a meno di notare il brutale contrasto con tutto ciò che mi circonda, la sorprendente congestione nella quale viviamo giorno per giorno. Il paesaggio é affollato, soffocato nella lotta per la conquista dello spazio e delle risorse, sulle autostrade, nei parcheggi, sui marciapiedi e lungo i corridoi dei negozi. E pensare che che sulla terra ci sono luoghi in cui l’uomo ancora non ha messo piede, luoghi in cui il mistero resta intatto, al riparo dallo sguardo umano.
Io voglio andare in quei luoghi tranquilli, senza tempo, stare seduto e lasciare che il silenzio e la solitudine siano la mia ispirazione.

E’ oramai un mese che raccolgo la mia attrezzatura per questa avventura. Non é molto per gli standard ma fin troppo per la mia natura impaziente. Sono un minimalista per natura, ho sempre voglia di portare con me solo l’essenziale ed essendo estremamente particolare é stato un po’ difficile trovare l’equipaggiamento giusto.

Ho deciso di entrare così profondamente nel deserto che qualsiasi mancanza nel mio equipaggiamento potrebbe costarmi la vita. Mi sono informato il più possibile e voglio sapere tutto quello che posso sul luogo che ho intenzione di visitare. Voglio essere sicuro di avere il miglior equipaggiamento possibile.

Ancora una settimana. Penso ancora una settimana e sarò pronto per partire…”

Evan Tanner

11 febbraio 1971 – 8 settembre 2008

mp3: Treasure Hunt

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Rosso

L’ultimo sole della sera sta incendiando il cielo. Non si sarebbe detto 20 minuti fa. L’orizzonte più lontano era carico di nubi e il sole ci si stava nascondendo dietro senza farsi troppo notare. Ciononostante mi sono fermato ad ammirare il semplice passaggio quotidiano all’oscurità, convinto che qualcosa di speciale sarebbe accaduto. Sopra la mia testa il cielo blu scuro poi scendendo dritto davanti a me, sparse e abbastanza sottili, le prime nuvole che avvicinandosi a terra si addensano. Pochi gradi sopra l’orizzonte un enorme fronte, lontanissimo – chissà quale terra starà coprendo – scuro, grigio, impenetrabile. Il sole gli passa dietro come se fosse una montagna. Scompare per 10 minuti e il cielo diventa sempre più scuro. Sto ripartendo quando alzando gli occhi noto che una delle prime nuvole sta diventando arancione. Che stia succedendo qualcosa? Mi prendo ancora un po’ di tempo. Una dopo l’altra le nubi cominciano a tingersi di arancione. Il colore diventa sempre più intenso. Sono contento e sbalordito. I bordi delle nuvole più basse ora si stanno contornando di oro.

Io mi trovo al bordo della strada e non ho ancora visto passare nessuno da quando é cominciato lo spettacolo. Ho un posto in prima fila e lo spettacolo é riservato solo a me. Mi chiedo quanto potrà ancora durare questa apoteosi, questo crescendo, prima che il sole sia troppo basso e che il suo effetto incendiario si affievolisca. Sono oramai passati diversi minuti da quando é scomparso dietro alle nuvole ed ecco che riappare in una fessura sottile tra la terra e il limite più basso del fronte nuvoloso. C’é giusto lo spazio per farlo apparire tutto ancora una volta prima che scompaia dietro la terra. Ora colora di rosso anche il fronte che prima lo nascondeva, spennellandolo dal basso. SPETTACOLO!

In questo momento io non sono più di nessun luogo. Non faccio nessun lavoro, non viaggio in automobile. Non conosco nessuno. Non parlo nessuna lingua. Ora non ho più né un passato, né un futuro. Sono fermo in questo istante come sarei stato fermo 1000, 10.000, 30.000 anni fa, completamente paralizzato dalla contemplazione di questo potente spettacolo che sto vivendo.
Ma questo é già ricordo.

Crosta terrestre secca

Ma sai una cosa? Tu per tutta la vita ti ricorderai che oggi pioveva. We are From The Desert. Balblair e si scrive come un tempo quando si componevano lettere a quattro mani. Cioccolato, comunque. Ma ti rendi conto che nessuno riuscirebbe a produrre nemmeno un suono. E’ un dato di fatto ma tra ventimila anni, ma forse venti milioni di anni ci sarà una collisione con Andromeda. E’ bellissimo. Raccontami delle notizie. Raccontami delle cose! Sant’Elia. Siete saliti fino in cima al monte. Il concetto, ma non scrivere cosi pari-pari, il concetto voyager 1 voyager 2. Sono fuori e hanno lasciato il sole con le loro placchette d’oro e un gioco. Noi ci meritiamo o non ci meritiamo di andare nello spazio, Drag in space. Del Bluegrass scadente sta navigando nello spazio. Una prostituta / Cuba. Proxima Centauri il gruppo. Comunque sul due hanno aumentato il grado tecnico per intercettare i messaggi extraterrestri. Un LP d’oro. Fatto d’ORO! Beethoven e del bluegrass scadente e dei saluti in turco. Ma in un anno o due anni, per conto degli americani, uno verrà ricordato come un nerd che ha lasciato dei messaggi per gli alieni e fa cagare. Ne voglio ancora. Ma beh vi do un po’ di questa cioccolata. Nutella liquida. Siamo in cioccolata totale. No, comunque salvataggio in corso. E’ così che si posta. E’ come un vomito, come un. Quelli che hanno problemi mentali, Hai visto quella puntata, tipo una decina di giorni fa, sui malati mentali, tipo gli autisti, una coppia. Si sono anche messi assieme. Tipo citta da dio. In prospettiva disegnava e calcolava, cercava la formula. I colori non si toccano. Come é possibile che due stati non si toccano col verde? Una in cucina rimpie fogli di calcoli. Una figata. Spettacolo! Vomito letterario, sbocco. Caldo, febbre, vene, pulsano, mal di testa, emicrania virgola. svengo. Va bene svengo davvero. Mi rialzo, bevo, sputo merda. Mi stropiccio gli occhi e mi sveglio davvero e guardo il sole. Stordito.

Io sono nato nel deserto

Ogni tanto la sensazione di camminare nel deserto mi coglie, quando sono lontano, a casa mia in città. Chiudo gli occhi, e aiutato dalle note di qualche musica perfetta mi immagino nel deserto, a camminare da solo sotto quei cieli stupendi, in quella tranquillità ispiratrice. Fuso con la terra e l’aria. Si coglie il tempo della terra camminando nel deserto, l’evolversi della roccia e l’inesorabile fine coraggiosa di chi l’ha sfidata. Guardo le stratificazioni delle rocce e mi immagino i movimenti geologici che le hanno formate. Le forze più impalpabili l’hanno modellato. Niente é veloce nel deserto. Tutto lascia il tempo al tempo, il giusto ritmo alla terra. Tutto vive più a lungo nel deserto e anche io, in una sorta di pellegrinaggio spirituale, mi ci immagino per ritrovare l’armonia, la serenità e la vita eterna. Io sono nato nel deserto.

mp3: The Attack Of The Killer Jackalope From Outer Space

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Il sole spacca i sassi

In un momento di delirio, catalizzato dal caldo, mi sono ritrovato a venerare un cespuglio verde carico di gocce di rugiada, che resiste in un ambiente assolutamente inospitale, in un luogo in cui il sole riesce a spaccare i sassi.

Qui una pianta, viva, riesce a stare esposta ai raggi solari per una vita intera, senza bruciare. Non si sposta, non si mette all’ombra. Questo cespuglio é l’essere supremo.

Io cammino contaminato su questa terra e in questo luogo non avrei nessuna speranza di sopravvivenza. Sono solo di passaggio e questa sera probabilmente affonderò i denti in una succulenta T-Bone Steak innaffiata di Sierra Nevada Pale Ale da qualche parte in qualche piccolo paese in questi immensi deserti. Solo così posso sopravvivere io. Ma il cespuglio in questione si accontenta veramente di pochissimo e si ingegna per ricavare il massimo dal minimo. Che esempio da seguire. Io venero questo cespuglio. Lo rispetto più di ogni altra cosa in questo momento. Non esiste nient’altro.

Ma che dire del ciclista che abbiamo incontrato in agosto, vestito di nero. Pedalava barcollando in mezzo alla Valle della Morte. Procedeva lento.

Ghost Town

Comincia a calare l’oscurità, stiamo rientrando da una lunga giornata di esplorazioni desertiche in cui a tratti caldo e disorientamento ci hanno accompagnato. L’aria ribolliva e saliva tremando come sopra ad un fuoco acceso. Abbiamo camminato nella calura, attraversato strette gole e tentato risalite impossibili. Le orecchie mi fischiavano nel silenzio e io mi immaginavo di sentire le note riverberate della chitarra di Gary Lucas: suoni ipnotici, stupefacenti, narcotizzanti. Ho provato a guardare il sole oggi e la mia vista é diventata per un po’ caleidoscopica. Sono diventato per un momento un film di me stesso. Mi sono immaginato moribondo, morso da un serpente, punto da uno scorpione, abbandonato dal corpo… Marcio. Barcollante, ferito, stordito e infine secco e stecchito.

La strada del ritorno presenta un bivio. Da essa parte in diagonale una “unpaved road” che sulla mappa conta una cinquantina di chilometri. Io amo le unpaved road! Sono tutte incertezza e insicurezza. Piene di sorprese. Non esitiamo e imbocchiamo la diagonale. Si procede a 30 Km/h per 15 km circa. Intanto il cielo diventa sempre più scuro. Allo zenith é blu scuro e scendendo sulla terra diventa sempre più nero mentre si impasta di marrone. Raggiungiamo il Red Pass con ancora poca luce.


Ci fermiamo proprio sul culmine di un dosso, in una valletta a forma di sella. La strada scende da una e dall’altra parte del dosso come una corda floscia e scompare dietro le prime colline ma ad est l’abbiamo appena percorsa mentre ad ovest é tutta uno scuro mistero. Si brinda con una birra consapevoli del fatto che per oggi saremo sicuramente gli ultimi a percorrere questa strada. Faccio delle riflessioni sugli ultimi 10.000 anni di preistoria/storia umana. Si riparte e per il momento la strada é simile a come l’abbiamo percorsa salendo. Nonostante queste prime impressioni il percorso si fa più tortuoso e accidentato. La discesa, invero, é sempre più preoccupante della salita. La strada, dopo aver danzato sulle cime di alcune colline svolta brusca a destra e si getta in una voragine buia, tutta aggrappata a monte. La scruto dall’alto e penso che sarà incredibile arrivare in fondo. Oramai si procede quasi a passo d’uomo. Il terreno sdrucciolevole pieno di buche sbanda l’auto a destra e a sinistra. Procediamo per un’ora in queste condizioni. Oramai é ufficialmente buio pesto all’interno di queste gole anche se in alto si ritaglia un timido cielo stellato. Ovviamente non abbiamo idea né di dove siamo esattamente, né di quanta strada abbiamo percorso. Ci auguriamo solo di non aver sbagliato percorso. Sto considerando che vista la strada fino ad ora percorsa non sarei in grado né di voltare il veicolo né tantomeno di tornare indietro. Dopo alcuni minuti raggiungiamo il fondo di questa gola e dopo una curva i fanali dell’auto si fermano davanti ad un cartello.

Fermo l’auto e cerco (ma forse no) di non farmi suggestionare. E’ oramai notte, non sappiamo bene dove ci troviamo ma sicuramente in un luogo abbastanza inaccessibile (di notte perlomeno) e un cartello indica che davanti a noi nel buio c’é una “ghost town” (cittadina fantasma). Fantastico! Scendiamo dall’auto e cerchiamo di spingere lo sguardo nel buio senza successo. Oltre ad essere fantasma, in questo momento non riusciamo neanche a scorgerla. Mi passano davanti agli occhi le immagini di Silent Hill e decido che VOGLIO lasciarmi suggestionare. Il silenzio ci avvolge, ma se dovessi udire qualcosa… la suggestione sarebbe completa. Stappiamo un’altra birra per celebrare questo momento unico.
Il cartello recita:

Leadfield
This was a mining boom town founded on wild and distorted advertising. 300 hopeful people swarmed here and a post office was established in august 1926. In february 1927 the post office closed and the town died.

Ripartiamo con una strada che si fa più agibile. Entriamo in una gola stretta e tortuosa con pareti che si alzano di 30 o 40 metri ai bordi della strada. Il percorso mi sembra infinito e impossibile. Quanto può essere lungo un canyon cosi stretto?

20 Km di buio, serpeggiando con calma sul fondo del Titus Canyon. Impieghiamo un ora e mezzo per uscire dal canyon ma sono letteralmente accompagnato dai miei pensieri che in mancanza di luce hanno reinventato tutto: le pareti del canyon, le creature che lo popolano e quelle di passaggio con la mia testa, le più incredibili…

Route 50

La strada é uno stato d’animo, un modo di essere, un modo di viaggiare. Percorro lunghissime discese all’interno di valli enormi. La strada corre dritta e non esiste altro segno di presenza umana.

E’ pomeriggio inoltrato, le ombre si allungano e la luce tende al rosso. La Route 50, “the loneliest road in America”, mi guida attraverso interminabili traiettorie e io non sto pensando a niente. Guardo la strada, i cespugli che punteggiano la prateria e la mia mente é placidamente vuota. Accosto e mi fermo. Scendo dall’auto e ascolto. Il vento che vola sulla terra deve aver portato via i miei pensieri perché così mi sento bene.


mp3: River Crossing
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Colorado

E’ notte, stiamo correndo lungo una strada deserta in Colorado. Abbiamo appena superato il Douglas Pass. La selvaggina cerca il suicidio ogni 10 minuti sotto un cielo stellato che se ne fotte. IL CIELO SE NE FOTTE! Rallentiamo nell’oscurità. I fari illuminano il cervo morto in mezzo alla strada. Ci fermiamo. Mi avvicino per controllare. Afferro con forza le quattro zampe – due per mano – e lo trascino via. Il sangue disegna la strada. Si riparte e in un paio d’ore arriviamo a Rangely. Manny non ci aspetta che per la settimana prossima. Grande sorpresa! Andiamo a rifornirci di birra e whiskey da un benzinaio. Allevio la fame con un burrito cotto al micro-onde. Il neon mi buca il cervello, lo vedo vibrare e ho la testa pesantissima. Sono stanco e moderatamente ubriaco e ho ancora poche energie residue. Manny ci porta a casa di Han che ci offre un divano e un paio di materassi buttati a terra. Poi i miei ricordi sono “Pitch Black” fino alla mattina seguente.


Appena svegliati facciamo colazione con l’immancabile litro di caffé, ciambelle, waffles ricoperti di merda e altre curiose cibarie. Manny arriva a bordo della sua Mustang blu e andiamo tutti assieme a raccogliere Bill (chiropractor) che sta curando un cacciatore con la sciatica che si é fatto accompagnare dalla mamma. Bill chiude lo studio e andiamo assieme a rifornirci di cartucce di ogni genere per fucili e pistole di diversi calibri. Ancora una breve sosta per riempire il tank dell’acqua (a casa di Bill non c’é acqua corrente). Partiamo infine e ci dirigiamo verso il deserto con pane, prosciutto, formaggio, un Remington 870, una Colt 44 Magnum e altre 4 pistole.
Trascorriamo il pomeriggio a sparare ad ogni cosa nella desolazione dell’alto deserto. La polvere si alza e il frastuono spacca il silenzio in un’atmosfera surreale mentre noi, presi da uno strano raptus, svuotiamo un caricatore dopo l’altro.

mp3: We Are From The Desert
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