Per le strade di San Francisco

Il primo pezzo di carta che trova posto nelle mie tasce ogni volta che arrivo a San Francisco é sempre lo stesso. Poi con il passare delle ore si spiegazza, si lacera e spesso si distrugge.
In verità potrebbe anche non servire, conosco la città abbastanza bene. Ma quando non ti ricordi se Post St. viene prima o dopo Sutter St. o se per andare a Haight Ashbury col Muni devi scendere a Duboce Park oppure a Cole St. questa mappa diventa irrinunciabile come una pizza da Escape from NY e una visita ad Amoeba Records.

San-Fran

The Last Supper

Ok, la mattina di quest’ ultima giornata piena qui a San Fran comincia con l’ acquisto di un paio di nuove bottiglie di whiskey americano. High West, un blended rye whiskey di Park City, UT di cui si parla tanto bene anche se qualche titubanza mi ha sempre un po’ frenato dal momento che la gran parte del blended che loro producono viene da un’ altra distilleria.
Poi una micro-bottiglia (si, ancora più piccola del Manhattan Baby Bourbon) di Kings County Distillery, Brooklyn, NY.
Intanto ho appena terminato un gratificante Mushroom Swiss Burger, il primo burger che mangio da quando sono artivato in USA, incredibile.

Ora sono le sette e mezza e sto in un pub con una Sierra e mi sento fottutamente bene. Mi mancheranno questi momenti, cristo. Sto guardando Bull Riding sullo schermo di questo fantastico bar. Potrei trascorrere così il resto della mia vita, dico ora, mentre mando giù la seconda Sierra. Poi stasera avrò sicuramente bisogno di una degna steak house per decretare la fine del mio trip in modo solenne. Intanto “Californication” dei Red Hot in sottofondo. Appropriata direi. Chiude bene. Ora steely Dan, io sono un po’ rotondo e non potrebbe andare meglio “back, Jack, do it again” canta Donald Fagen e io mando giù una gratificante sorsata di Sierra pensando alla steak.

I tori sono animali mostruosi, fanno veramente una fottuta paura, sono enormi, mille chili di muscoli e incazzatura.

Dunque questa sera avrei voluto terminare con una bella steak. Mi sono cercato un posto in California st. Dopo la punuale camminata interminabile, e dopo aver appurato che una bistecca da 22 oz. costava 57 $, sono andato a cercarmi un altro posto. Ecchecazzo, è una steicaus, perdindirindina, non una stella Michelin. Mi sono ritrovato a girovagare al calare delle tenebre alla ricerca spasmodica di un posto in cui mangiare. Ho finalmente messo piede in un ristorante tailandese. Vediamo. Voglio solo ricordare che oggi ho camminato senza sosta per quasi 6 ore. E quando dico senza sosta non scherzo. Intendo dire che non mi sono mai fermato, se non per scattare una foto o filmare qualcosa.

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Puttana, ma quanto è stata soddisfaciente questa cena tailandese? Non potevo desiderare di meglio. Una zuppa caldissima e deliziosa che mi ha riscaldato bene il ventre e poi un altro piatto dal nome impossibile da ricordare ma a base di mare, con gamberi, conchigliame, pesce e verdurame assai speziato. Tutto servito su uno di quei piatti, tipo ghisa, appoggiati su un vassoio di legno, che mantengono la temperatura per ore o addirittura settimane. Così si fa, diamine, se si serve una pietanza calda tutto deve essere finalizzato alla consumazione di un piatto caldo da parte del cliente.
Anche se non ha nulla a che vedere con la cucina tailandese ho terminato la cena con un bicchiere di cabernet sauvignon che adesso sta chiudendo alla perfezione qui tra Sutter e Jones.

Full immersion a pancia tesa

Prima giornata integrale di SF. Finalmente è spuntato il sole nel senso che la nebbia pacifica si è diradata e adesso tutto si sta scaldando un po’. Ieri sera faceva veramente troppo freddo per una giornata di luglio.

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Ho consumato un’abbondante cena cinese ieri sera, con una gran bella verdurata di pack choi e del manzo alla mongola, tutto accompagnato da del benefico tè al gelsomino. Unico problema è il fatto che per ritornare in Geary, dove alloggio, ho dovuto esporre il mio ventre tumido alle sferzate del vento dell’oceano, potenziate dalle file di costruzioni che come veri e propri tunnel del vento convogliavano tutto il gelo sulla mia pancia tesa, che seppur protetta da un sempre più spesso strato di lardo di Certara, non poteva custodire e proteggere il delicato processo di digestione che aveva luogo all’interno.
Oggi ho un antipatico mal di pancia ma spero che tutto si fermi li. Ho intenzione di scattare l’inverosimile oggi. La luce è quella giusta. Devo anche trovare una felpa.

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Ho finalmente fatto tappa da Escape from NY in Haight st. e mi sono sparato due slices monumentali, cheese and pepperoni (salame in verità) mentre ora sono al bancone del Magnolia e mi guarisco con una deliziosa e speziatissima Prescription Pale. magnoliaMi sta veramente rimettendo in sesto. Dovrebbero prescriverla i medici e le Assicurazioni Malattia dovrebbero coprirne i costi. Cazzarola come sto meglio mentre Nancy Sinatra canta “This Boots Are Made For Walking”.

Mamma mia che camminata che ho fatto oggi. Da Haight-Ashbury fino in centro e poi su e giù per le colline a visitare la Coit Tower, il Pier 39 con pochissimi sea lions, non sarà stagione, e ora a riposare in un pub con una Anchor Steam davanti. Eh ma se ci fosse un posto come questo a Lugano io ci passerei tutte le serate dopo il lavoro.

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Seconda serata sanfransischese e seconda cena. Questa volta giapponese. In apertura chicken tempura e poi sushi combo. In questo momento riesco a bere solo tè caldo. La mia pancia non si è ancora veramente ripresa e anche se ho una gran fame spero solo di non vomitare tutto sul tavolo. Sono tornato in albergo alle 19 e ho fatto un bagno terapeutico per scaldare la pancia. Questa serata è per fortuna meno gelida di quella di ieri e maglietta e camicia a maniche lunghe dovrebbero bastare.
Mega-mangiata anche stasera! Però a guardare i cuochi, uno di loro é sicuramente messicano.
Anzi mo che li guardo bene mi sembrano tutti messicani. Parlano in spagnolo. Forse uno ha chiamato l’altro Pedro…
Ma un giapponese del sud assomiglia magari un po’ a un messicano? Oppure, ci sono dei messicani che sembrano un po’ giapponesi? Questo si, dai. Un paio di camerieri sono però sicuramente orientali. Ho comunque mangiato bene e questa è l’unica cosa che conta anche se la miso soup sembrava molto un minestrone.

101 South a tutta birra

Ohhhh, sollievo! Ho anticipato di un giorno la consegna della Jeep e sono dunque sceso a San Francisco molto velocemente. Oregon e costa sono belle iniziative ma in fondo mi importa sega. Io vengo in questo paese per il deserto, dunque California, Nevada, Arizona, New Mexico e Utah e per alcune città imperdibili. San Francisco è una di queste. Mi sto già immergendo nel mood giusto qui alle sette di sera mentre mando giù una deliziosa Anchor Steam al Vesuvio in Columbus Ave.

Questo locale è bellissimo: ampia balconata in legno, luce soffusa, un sacco di roba appesa ai muri, vecchi articoli di giornale, quadri, enormi specchi, Led Zeppelin in sottofondo, lampadari liberty con vetri colorati.

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Questa sera si mangia cinese. Ho addocchiato un paio di locali in una laterale di Kearny st. tra luridi vicoli nascosti e vecchissimi cinesi mendicanti in Jackson st. Ci manca solo Snake (Jena) Plissken!
Ah che figata dentro questo ristorante! Mi sembra di essere tornato a Beijing. Parlano tutti cinese qui attorno a me e mi tornano in mente le cene interminabili in Dongzhimen a nord est della città proibita, allora si trattava della cucina dello Sichuan con il suo abbondantissimo uso del peperoncino.

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Domani sono d’obbligo un paio di slices di pizza da Escape from New York a Haight-Ashbury.

Nitty Gritty Dirt Band

Oggi sento il bisogno di scrivere di whisky. Scotch whisky, ma anche di musica. I miei giri attraverso le terre di Scozia sono oramai passato remoto. Rimangono i ricordi, molte belle fotografie, tante immagini panoramiche da assemblare ma soprattutto alcune strepitose bottiglie di whisky da assaggiare. Qui in montagna comincia a fare freddo, di sera e di mattina. I boschi sono ingialliti e arrossati. Sto ascoltando un disco che per troppo tempo ho ignorato. Mi ricordo di averlo incontrato a più riprese nel corso degli anni, rovistando tra gli scaffali colmi di dischi nell’ East Village a NYC e durante gli interminabili pomeriggi “leggeri” trascorsi a fare su e giù per Haight Ashbury a San Francisco. Prima un paio di pinte di Ale, poi una fetta di pizza da Escape from New York e poi la meticolosa ricerca nei negozi di “records”. Allora ero sempre alla caccia di Zappa e delle Mothers of Invention, gli originali, prime stampe, belli pesanti, vecchi, printed in USA, poi, di tanto in tanto, mi scappava l’occhio nella lettera “L” come Lynyrd Skynyrd. Avevo già tutto ma dovevo giusto dargli un’occhiata, per rassicurarmi. Quando vedi un disco che possiedi, hai sempre quell’attimo di autocelebrazione durante il quale ti ripeti che anni prima hai fatto la cosa giusta portandoti a casa un disco essenziale. Li passavo tutti, Pronounced ‘lĕh-‘nérd ‘skin-‘nérd, Second Helping, Nuthing Fancy, Gimme Back My Bullets, Street Survivors. Poi, come spesso mi é successo, il mio sguardo cadeva, alla lettera “N”, su una copertina abbastanza bianca con scritte a mano e una foto ovale incorniciata al centro. Per qualche motivo ho sempre pensato, in un primo istante a Jethro Tull “Thick As A Brick”, anche  bianca con scritte nere. Ma non c’entra un cazzo! Ogni volta mi ripetevo: “Ah, già, Nitty Gritty Dirt Band”, quella band country… Bella la copertina, ma non mi interessa. Proseguivo poi nella mia ricerca dell’album perduto di Zappa o qualsiasi altra sollecitazione rock.

Poi birra, ale, slice, BART e ritorno dalle parti di Powell o Bush St. dove in genere alloggiavo quando stavo a Frisco, con le mie cene a base di mele, Winstons e birra. Allora facevo così. Mi bastava! Mistero…

Sono trascorsi oramai almeno 15/20 anni da quelle prime scorribande random e negli ultimi anni mi sono appassionato di musica americana tradizionale acustica. Bluegrass per l’appunto. Ci sono dentro, signori. Mai avrei pensato che questa musica avrebbe potuto occupare le mie giornate, monopolizzare i miei ascolti come accade oggi. Negli anni ho cominciato a conoscere e apprezzare Earl Scruggs, Doc Watson, Norman Blake, Bill Monroe. Ci sono arrivato per vie traverse, come ho sempre fatto con tutti i  miei ascolti. Mi sono fatto trascinare sempre più a fondo, come una sonda spaziale che viene catapultata da un’orbita all’altra, da un pianeta all’altro. Ci sono arrivato prendendo la curva molto larga, passando attraverso le espressioni più “alternative” del genere: Punch Brothers, Infamous Stringdusters, Cadillac Sky, Nickel Creek. Ma adesso sono arrivato a Flatt & Scruggs, The Stanley Brothers, Jesse McReynolds, Bill Monroe e Doc Watson. Sono alle origini del genere. Ascolto i padri fondatori della musica “bluegrass” e adoro quello che ascolto.

Oggi finalmente ascolto Will The Circle Be Unbroken della Nitty Gritty Dirt Band.

Questo é un disco fondamentale, signori. Se si fosse mai alla ricerca di un ponte tra il moderno e la tradizione, tra la generazione che ha ripreso la tradizione e quella che l’ha creata, questo é il disco giusto. Un esperimento riuscitissimo, una sorta di documentario musicale, un evento generazionale che vide i membri della Dirt Band chiamare a raccolta diverse leggende del bluegrass per realizzare un album che fu registrato in 6 giorni restituendo un magnifico esempio di collaborazione tra la generazione dei capelloni della West Coast e quella degli artisti di Nashville.

Sono felice di essere finalmente arrivato a questo album.

Non ho parlato molto di whisky. Sarà per la prossima volta.

Le strade di San Francisco

Ci sono alcune città nelle quali mi piace passeggiare per ore alla ricerca di scorci interessanti da fotografare o anche per il semplice gusto di camminare. San Francisco é una di queste città. In passato ho battuto i miei record personali di ore trascorse a camminare senza una meta precisa. Oggi 2 panoramiche scattate durante una mia passeggiata nei pressi di Telegraph Hill. I colori sono spesso tenui, pastellati e se trovo degli angoli deserti come questi, beh, allora sono dentro un quadro di Edward Hopper.

Finale

Anche questa sera non ho resistito e su consiglio di Micha da Comano (su skype) sono tornato a mangiare giapponese da Sakana, tra Post e Taylor. Poi se avrò voglia di fare il maiale mi concederò uno spuntino di mezzanotte da qualche altra parte. Chi se ne fotte ora. Qualsiasi cosa va bene adesso. Non vorrei sembrare più giramondo di quanto sono in verità, ma in questo posto mi sembra di aver già mangiato una decina di anni fa.

La Miso Soup, che delizia, sempre! Anche a colazione la mangerei. Ok, é arrivato il sushi – sashimi combo e mi verrebbe voglia di bestemmiare dall’entusiasmo. Devo andare in Giappone, assolutamente, per fare un’indigestione di sushi, un po’ come farei da noi con la pasta. In fondo il pesce perché cuocerlo? Da crudo é fantastico. Bisognerebbe provarlo da vivo, mangiare solo pesce vivo. Un imperativo. Come uno squalo. Mi sono appena sparato in gola un’intera ovulazione di circa un centinaio di potenziali salmoni avvolti nell’alga. Mamma mia che mangiata oggi. Qui ci sono pure dei giapponesi che cenano con me ma mangiano pochissimo in confronto. Bene, ho finito adesso.

Sono allo Swig e mi sto facendo un bicchiere di Stagg a 10$ La mia passione per il Bourbon e nata forse in questo locale qualche anno fa. Io e Eero ci siamo fatti un Bruichladdich di 20 anni o giù di li. Altri clienti attorno si erano fatti coraggio pure loro e invece della solita birra avevano ordinato del whisky. Un paio di giorni dopo ero ripassato per un whisky e avevo chiesto al barista di darmi quello che secondo lui era il miglior Bourbon in assoluto. Mi fu sottoposto il Russell’s Reserve di Wild Turkey. Ottimo, non il migliore, ma da quel momento “I was hooked”, come si dice da queste parti. Conquistato. Ho poi avuto modo di scoprire i miei Bourbon preferiti e quello che sto bevendo ora é uno di quelli. George T. Stagg, già diventato leggendario in Ticino tra gli amici.

Sono le ultime ore di San Francisco, sono seduto al caffé Puccini in Columbus Avenue e sto bevendo un buon cappuccino. Questa mattina ho scoperto che l’albergo in cui alloggiavo non tiene i bagagli fuori dall’orario di checkout. E’ così cominciata la caccia ad un albergo che mi offrisse questo servizio. La ricezionista del Motel 6 in cui ero stato mi ha consigliato di provare presso un grande albergo (Hilton o simili). Il primo tentativo l’ho fatto presso un Best Western ma alla reception mi sono sembrati veramente sospetti: “Mah, vediamo cosa possiamo fare. Aspetta che chiamo il mio capo. George, tu che dici? Lui avrebbe anche l’intenzione di pagare. Adesso vediamo. Quanti bagagli hai? 3 pezzi, gli rispondo. Beh, allora, con qualcosina per bagaglio ci possiamo arrangiare. Ok, grazie. Gli ho detto. Vado a prendere i bagagli e sono qui tra un attimo. Mentre tornavo al Motel 6 pensavo che i due individui che avevo incontrato non mi piacevano per niente. La ricezionista al Motel 6 mi riconferma che se non é un grande albergo devo lasciar perdere. Ne sono totalmente convinto. Vado in cerca di un altro posto. Entro al Westin in Union Square e qui predono i miei bagagli gratuitamente. Hanno una stanza utilizzata appositamente a questo scopo, sorvegliata e i bagagli sono prontamente registrati. Adesso sono seduto al caffe Roma e sto bevendo un ottimo bicchiere di Suave. Mentre me lo serve da una bottiglia aperta il cameriere si da un’occhiata intorno per assicurarsi che il padrone non sia nei paraggi e poi mi dice “Why don’t you take a big sip, fatti una bella sorsata dal bicchiere che nella bottiglia é rimasto ancora mezzo bicchiere”. Eseguo senza battere ciglio e asciugo mezzo bicchiere che lui mi riempie di nuovo. “You see? That looks like a perfect glass of wine to me!” Sono d’accordo.

Dunque, sono seduto di fuori proprio in Corso Cristoforo Colombo, c’é un bellissimo sole e mi godo quest’ultima giornata. Vorrei spendere ancora un pacco di soldi ma a quanto pare il mio progetto di spedirmi a casa una pregiata bottiglia di Bourbon non si concretizzerà perché le poste non spediscono spirits. Mah, sono un po’ meravigliato.

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Giusto per restare in materia di ricordi, sono adesso in un pub in cui io e Pat trascorremmo le ultime ore di Frisco e di USA qualche anno fa, giocando a calcetto bevendo Sierra.

Sto tirando le somme di questa vacanza e sto cercando di capire cosa abbia attirato di più la mia attenzione. I parchi naturali sono stati come al solito una grande esperienza. Particolarmente bello é stato scendere nelle gole del Bryce Canyon e il giro tra i giganti della Monument Valley.

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Ciò che però ricordo con più piacere, questa volta, é l’inseguimento della 66, soprattutto tra Oklahoma e Texas. E’ stato veramente fantastico percorrerla, cercare di non perderne traccia. Ritrovarsi in un perfetto pomeriggio texano, soleggiatissimo e senza nubi in cielo, ad attraversare una qualche cittadina sconosciuta di non più di 1000 abitanti. Procedere lungo la strada maestra rivisitando i fantasmi del passato, tra autorimesse chiuse e spaziosi motel abbandonati. Impareggiabile! Le insegne scrostate dal sole e dal tempo, le erbacce che si sono impadronite di ogni cosa, le auto morte abbandonate nei garage, con le ruote sgonfie e semi interrate, i sedili distrutti con le molle a vista e le cicale che fanno un rumore assurdo nella calura. Cavallette che saltano ad ogni mio passo, mosche che ronzano in cerca del mio sudore, silenzio praticamente assordante e tutto immobile in questi pomeriggi sospesi, che arrivano da un luogo forse immaginato, nella mia memoria. Un posto al quale ho decisamente pensato prima di averlo visitato.

camionista-religiosoDei pomeriggi post-apocalittici, senza tempo, ora, mille anni fa o tra mille anni, di immagini sbiadite, bianconeri che diventano gialli, gente che invecchia senza spostarsi di un centimetro, l’asfalto che si spacca e il verde che prende tutto lo spazio che trova, l’aria diventa fossile e le ore durano anni. Tutto ciò su cui io poso lo sguardo e morto, chiuso, rotto, chiaro, pallido, bello e affascinante. Ho la chiara e netta impressione che tutto sia esistito sulle note di un vecchio disco, quelle di “Mister Sandman” di Chet Atkins. Ascoltatelo e capirete.

Mister Sandman by Chet Atkins on Grooveshark

Un Jukebox che suona dal passato, un 78 giri con la punta che salta. Rumore di statico, fotogrammi che passano, si incastrano, si fermano e pellicola che brucia. Io mi trovo adesso in questo interstizio di tempo sospeso. Qui non c’é ombra oppure se c’é é lunghissima. Non mi ricordo vie di mezzo. Non mi ricordo persone, mi ricordo di aver parlato con dei fantasmi e questo é quanto. Camminavo scrutando il suolo: una lattina di Root Beer vecchissima e piattissima, veramente sottile e quasi senza colore, un foglietto di carta scritto fitto fitto con chissà quale inutile messaggio dal passato. Un muretto verniciato di verde vomito con strisce di urina e ciuffi d’erba disperata nell’angolo al suolo.

Questo pomeriggio mi sono mangiato un Hamburger per celebrare la partenza in stile americano. Gravissimo errore. Le patate fritte che lo accompagnavano erano tutte ricoperte di pezzetti d’aglio. Sul momento non ci ho fatto troppo caso anche se una vocina mi diceva “fai attenzione! Più tardi potresti pentirtene. Sono passate 5 ore da quel pasto e sto ancora ruttando sbocchi di aglio disgustosi e se non faccio attenzione vomito. Prima in autostrada mentre mi avvicinavo all’aeroporto, c’era traffico e magliette del Barcelona da tutte le parti. Era tutta gente che si recava allo stadio per assistere alla partita di cui ho parlato in precedenza.

Adesso sono seduto all’Hard Rock Café, downtown Atlanta. Sono atterrato questa mattina alle 6 e mezza e dovrò attendere 12 ore prima di ripartire, percui era fuori discussione rimanere in aeroporto tutto quel tempo. Inoltre era freddissimo. Anche sull’aereo era freddissimo. Dove stavo seduto io tirava proprio il vento. Ma adesso ho dovuto ritirarmi in un locale perché c’é una calura umida assurda qua ad Atlanta. Mi trovo proprio in Peachtree St. a pochi metri dallo storico Fox Theater in cui i Lynyrd registrarono il loro concerto One More From The Road nel 75 o giù di li.

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Poco fa ho riconsegnato la Mia Toyota. Mia e lo sottolineo. Si perché come sempre capita mi ci ero abituato e un po’ attaccato.

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Siamo stati in un sacco di posti assieme in queste tre settimane. Strade facili e strade difficili, belle linde e lisce, non asfaltate e impolverate. Come al solito sono bastate un paio di settimane per farle prendere il colore della merda e il puzzo di vomito o di puzzola rivoltata di dentro. L’ho proprio consumata e le ho lisciato le gomme. Tra le cuciture dei suoi sedili, se non la puliranno alla perfezione, il prossimo cliente (francese di sicuro) potrà trovare, nell’ordine: pezzi di Beef Jerky di diverse provenienze, dall’Arkansas allo Utah poi macchie di caffé rovesciato, resti di donuts mezzi masticati, macchie di mayonnaise e senape secchi, sassi e ghiaia di ogni singolo stato attraversato, sabbia delle dune della Valle della Morte, probabilmente del pelo di Sea Lion morto e calpestato involontariamente sulla spiaggia tra Pacifica e Half Moon Bay prima di San Francisco mentre camminavo contemplando “pirlamente” il cielo, merda (di sicuro e di svariati animali) mescolata a bricciole di muffin e per concludere qualche macchia di chocolate chunk sciolto. Si é fatta la 66, diamine!

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Adesso sono a Frisco e sto girando a piedi con il solito cavalletto in spalla e cerco di fare gli ultimi scatti. Mi sono infilato nel primo pub che ho trovato in Sutter St. e ho ordinato una bella pinta di Bass. Poi voglio andare a China Town a fotografare un po’ di caos orientale. Direi che stasera una cena cinese é d’obbligo.

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Adesso mi trovo alla San Francisco Brewing Company e la cameriera superdotata con tatuaggi da camionista su entrambe le braccia mi ha servito una S. F. Pale Ale e siccome é finito il serbatoio della birra proprio mentre stava per finire di riempirmi il bicchiere, la mia birra é “on the house”. Magnifico, no? Intanto é partita la seconda birra, una Shangai Pale Ale e tra le altre cose siamo in piena Happy Hour. Devo dire che in un posto come questo anche la musica fa tutta la differenza. Stanno mandando del magnifico Jazz. Nient’altro andrebbe bene adesso. La Shangai sta entrando in circolo e comincio ad essere moderatamente stono.

Questa sera invece che cinese ho optato per la cucina giapponese. Sono però preso completamente alla sprovvista per quanto riguarda la scelta e mi faccio dunque consigliare dal Sushi Master. Ikura adesso, che non so esattamente cosa sia ma c’é del salmone poi un Rainbow Roll. Ok, l’Ikura era a base di uova di salmone appoggiate sul riso in un cilindro d’alga. Ma che goduria la cucina jap ed é veramente uno spettacolo vedere lavorare questi cuochi giapponesi che tra l’altro continuano pure a brindare alla grande con i clienti.

E’ passato un giorno e sono a Haight Ashbury. Mi son fatto un paio di fette di pizza da Escape From New York, un’altra tappa obbligatoria quando sono a San Francisco come pure la caccia ai dischi al negozio di musica Amoeba. Adesso dopo aver fatto la scorta di musica sono pronto per tornare a casa.

Prima, passando dal Golden Gate Park c’erano Pujol, Messi e compagnia bella che facevano allenamento davanti ad un pubblico di VIP e di giornalisti. Tutti rigorosamente inavvicinabili. Domani il Barcelona gioca una partita amichevole contro il Chivas Guadalajara al San Francisco 49ers Stadium. Da lontano ho rubato qualche scatto.

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Stasera passo a salutare i Sea Lions al Fisherman’s Wharf. Incredibile come qua tutti vestano in modo stravagante, diverso e variopinto. Da noi interverrebbe la polizia. Qua é stravagante essere normali.

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Questo é un altro mio compagno di viaggio e si chiama Maker’s Mark Kentucky Straight Bourbon Whisky, comperato in un Liquor Store a Page in Arizona e chiaramente 8621 sono i chilometri che ho percorso in tre settimane con la Mia Toyota.

Petaluma

Oggi mi sono svegliato sotto l’inconfondibile nebbia del Pacifico. Tutto sembra sospeso. I gabbiani fanno già un gran fracasso. Vado a dare un’occhiata all’oceano. Potrebbe sbucare fuori dalla nebbia in ogni momento la Perla Nera di Jack Sparrow con il suo equipaggio fantasma.

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Adesso sto pacificamente gustandomi una Sierra Nevada Pale Ale a Santa Cruz. Mentre da noi per i turisti fanno girare per le vie del centro una macchinina elettrica camuffata da trenino con i vagoni attaccati carichi di germanici, qua a Santa Cruz fanno qualcosa di analogo solo che in strada ci sono i binari e il treno é un vero Southern Pacific con motrice e otto vagoni per una lunghezza complessiva di un centinaio di metri. Lo dico sempre, qua in USA fanno tutto in grande. Ieri al ristorante a Monterey c’era una lista d’attesa di circa 20 minuti. I camerieri, attrezzatissimi, forniscono i clienti di un pager che vibra e suona quando il tavolo é disponibile. Tu, intanto, puoi girare tranquillamente per negozi fino a che non é il tuo turno.

Bene signori, Questo pomeriggio ho lasciato santa Cruz, il suo lunapark e il suo molo d’asfalto detentore del record del mondo di lunghezza. Era mia intenzione recarmi a nord di Frisco per passare l’ultima notte fuori città. Avevo pensato a Bodega Bay, dove sono già stato peraltro. Cercando di raggiungere la mia destinazione passo attraverso una cittadina dal nome curioso. Petaluma. Mentre attraverso downtown rimango colpito dalla bellezza degli edifici e dalla vitalità del centro ma io devo andare a Bodega e allora tiro dritto. Mi lascio Petaluma alle spalle e ritorno in aperta campagna. Davanti a me, in lontananza, vedo le nuvole che salgono veloci dal Pacifico e Bodega si trova proprio la, probabilmente già avvolta dalla nebbia mentre alle mie spalle vedo ancora in lontananza la soleggiata e calda Petaluma. Allora mi dico, ma vaffanculo Puttana Bay io questa sera torno a Petaluma.

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Porca troia che ennesima intuizione. Petaluma é fantastica! Una piccola cittadina tutta piena di bei negozi e ristoranti da tutte le parti. Bei ristoranti, intendo, mica merda. Lungo una via del centro, inoltre, c’é un mercato agricolo e stanno vendendo della verdura magnifica. Ad ogni angolo  di strada  ci sono gruppetti che suonano. Chi Jazz, chi Funk e chi Folk Music. Ma dove sono capitato? Ho trovato posto al Best Western dove mi hanno consigliato di fare sosta da Dempsey’s, una birreria in centro nella quale mi trovo orora. Sto bevendo la loro Strong Ale che senza esagerare é uno degli Ale più buoni che io abbia mai assaggiato in tutta la mia vita focomelica.

Sto mangiando un’eccellente insalata verde su un letto di barbabietole con noci e pezzetti di Roquefort. Percepisco anche del coriandolo. Dire solo che é buono é veramente mancare di rispetto. Favoloso, direi. Il pane, fatto con la farina bigia, é buono e ha la crosta dura! Io lo farei così a casa. Signori, Roquefort e barbabietole… Spero che non ci abbiano pensato per primi gli americani. Adesso l’entrée. Salmone su un letto di zucchine grigliate alla perfezione. No, cazzo, sono senza parole. Con un cappello di cipolla lessa tagliata a striscioline che col salmone sembra nata per starci assieme. Poi qua e la qualche pomodorino cherry e qualche chicco di mais cotto e grigliato per dare un tocco dolce alle zucchine. Si vede che é un piatto costruito da qualcuno preoccupato dal gusto, qualcuno che conosce i sapori e dosa gli ingredienti per ottenere armonia. Veramente il risotto all’arancia del Principe Leopoldo qualche mese fa stava nella categoria “mensa dei poveri” a confronto. Questa é veramente tutta la differenza che passa tra l’esserci e il farci, tra apparenza e sostanza. In più ripeto che la birra é spettacolare. Siamo semplicemente in una Brewery. Signori marcatevi questo nome: Petaluma. Il cameriere assomiglia a Steve Martin.

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La California sa vivere, non ci son cazzi che tengano. Che scelta azzeccata oggi. Mi immagino tutto infreddolito a Bodega Bay a mangiare filetto di Halibut sfigato accompagnato da un po’ di riso insipido con tutto il peso della responsabilità lasciato al vino californiano. Che sforzo!

Ok, é deciso. Chiamerò mia figlia Petaluma, di primo nome. Petaluma Strong Ale!

E come se non bastasse, la procace Denise, al parcheggio, mi chiede se non posso dare a lei e a suo fratello un passaggio a casa perché lui é too drunk to drive e io, preso oramai dall’entusiasmo per questa cittadina dico ma perché no? Come on, I’m not from here but if you show me the way I’ll take you home.

Avrei tirato su chiunque, anche se avesse avuto l’aspetto di Charles Manson.

The Woodsongs Old Time Radio Hour

The Woodsongs Old Time Radio Hour

Intanto per chiudere questo post vi dico che é disponibile il video del concerto di Neko Case al quale ho assistito il 22 luglio.

Garlic 101

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Quello che prima era quasi un profumo adesso é solo un tanfo. Soffocato e confuso. Nascosto dalla sbronza. Annebbiato dai vapori d’alcohol. Indecifrabile e abbastanza fastidioso. The Stinking Rose. Sono passato davanti alle vetrine di questo ristorante diverse volte. Sobrio, pensieroso, stanchissimo, ubriaco, semi-incosciente, indifferente, distratto, di giorno, di notte, col sole, con la nebbia, in estate, in inverno. Vabbé…
Adesso sono quasi annientato dall’odore. Mi sono appena sottoposto al supplizio morboso ma anche piacevole di un carpaccio di baccalà ammollato in salsa aioli e credo che il retrogusto mi rimarrà impresso per settimane, ma adesso direi pure per anni. Una vocina dietro l’orecchio mi dice di tentare con un po’ di Whisky dell’Islay. Ok ci provo.
Credo che abbia funzionato. Adesso sento una graziosa chitarra jazz. Pizzicata con leggerezza. Wes Montgomery forse. Senza plettro, col solo pollice inciampa leggero tra le corde, assolutamente padrone. Poi una tromba ammorbidisce l’aria con un suono vanigliato e mieloso. Sono dentro un pub con antichi banconi di legno iper-laccato e luci soffuse. Il fumo ammorbidisce i limiti delle mie visioni. Tutto é soffuso. Io mi sento sospeso in uno stato di puro piacere, una leggerezza armonica mi avvolge. L’ottone mi sollecita e la mia mente vuole consacrare questo momento che deve restare. Non si deve dimenticare. Dovrà stimolarmi sempre. Intanto qualche chit-chat confuso, slegato, melodioso e suadente. Lo sguardo é filtrato dall’ambra colorata che proietta le mie immagini sul muro. Amber Ale-o-rama! E’ tutto maledettamente ambrato qua dentro. Tutto dolce, e i fumi dei cigarritos salgono su fino al soffitto porpora. Gli stucchi laccati sono ricoperti da mille strati di vernice, dagli anni cinquanta ad oggi. Le pale del vetilatore girano lente tutto sommato. Poca aria si sposta tra un poster della Traviata e le immagini di Kerouac sul balcone con una grigia parete a mattonelle che egli fa da sfondo. In un cinema, giù verso il molo, sempre in Columbus Avenue, danno ancora La Dolce Vita di Fellini.
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Una moltitudine di persone, aggrovilgiate e indaffarate, scivolano veloci da un marciapiede all’altro. Mentre io cammino al rallentatore tutti gli altri corrono velocissimi.
Paaaackkkkk !
Un brutale risveglio. Un grosso lampadario di ottone precipita dal soffitto sul tavolo di fianco al mio.