Kingman

Ah, goduria! Finalmente sono arrivato in un posto in cui depositare tutta la merda che mi porto appresso e fermarmi per la notte. Oggi finalmente ho ripreso a percorrere la 66. Devo dire che é stato bello ritrovarla dopo alcuni giorni trascorsi ad inseguire il sole nascosto spesso dalle nuvole. Adesso non ci sono nè francesi, nè italiani, nè tedeschi. La strada non é più bella dritta, a quattro corsie. Ai lati della strada ci sono di nuovo pittoreschi ruderi e testimonianze di un passato laborioso.

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Sto mangiando messicano in un ristorante sulla 66 a Kingman, AZ, e bevo una cerveza Tecate, hecho en Mexico. Madonna pietrificata, come sposa bene questa birra con l’enchilada. E’ difficile descriverlo.

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E’ curioso  ma qui il cappello da cowboy deve essere proprio saldato al cranio della gente. Non se lo tolgono mai. Sono qua, tutti al ristorante e tutti col cappello in testa. Anche se devo dire che stamattina a Cameron ho visto uscire da un’auto una famiglia di africani veri, in abiti tradizionali (stile Mobutu, per intenderci) ma sia il padre che il figlio con un cappello da cowboy enorme e francamente ridicolo. Più un sombrero che un cowboy hat. Anzi più che altro un ombrellone da spiaggia. Ci si stava sotto almeno in quattro e tutti all’ombra.

I due camminavano un po’ ancheggiando sentendosi probabilmente degli strafighi, solo che la scena, più che Sentieri Selvaggi di John Ford, ricordava Mezzogiorno e Mezzo Di Fuoco di Mel Brooks. Una scena abbastanza ridicola  e anche un po’ penosa. Anche i Navajo dai loro pickup guardavano ridendo.

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Questa mattina ho visitato le incredibili gole dell’Antelope Canyon, vicino a Page. Strettissime e profonde una ventina di metri, sono state scavate dall’acqua e dal vento. Tutto levigato e sinuoso questo budello si allunga un paio di centinaia di metri con degli straordinari giochi di luce e colori. Uscito dall’Antelope Canyon mi sono diretto al Gran Canyon che non ho più visitato dal 2000.

Infine una notizia rubata da un giornale visto in un supermercato. Riguarda l’attrice che interpretò Wendy, la moglie di Jack in Shining:

Vivete anche voi la sua tragedia. Dice che degli alieni vivono nel suo corpo.

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Bryce Canyon e francesi

bryce-canyonSono a Page, in prossimità del Lake Powell. Sono in una Steak House in cui tutti i camerieri sono stranieri. Ci sono russi, italiani e alcuni sono vestititi da cowboy con cinturone pistola e proiettili. C’é una strana atmosfera qua dentro, come se si trattasse di una strana congregazione. Ho fatto un giro prima per le strade di Page e ho contato almeno una decina di chiese ma page é piccolissima. Come al solito sto incontrando una marea di turisti francesi qui nel quadrato dei grandi parchi.

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Questo pomeriggio ho fatto una magnifica camminata all’interno del Bryce Canyon. Purtroppo il sole veniva e andava ed é stato difficile riuscire a fare panoramiche come volevo. Poi alla fine ha pure cominciato a tuonare e a quel punto mi sono rotto i coglioni e sono partito verso sud.

Non so se ho già affrontato l’argomento roadkill ma qua in USA é una vera ecatombe. Questa mattina nei pressi di Escalante sono passato di fianco ad un orsetto lavatore tutto sbudellato fresco. Dopo un centinaio di metri un altro roadkill. Cerco di evitare pure questo, lo guardo bene…

Ma no, cazzo! Si muove ancora. Accosto, esco dall’auto e torno indietro sperando che nel frattempo non arrivi nessuno. Trovo questo animaletto sdraiato sulla schiena che scalcia nell’aria. Uno scoiattolo o un cane della prateria. Lo prendo e lo porto lontano dalla strada all’ombra di un cespuglio.

squirrel

E’ chiaramente vivo e non sembra nemmeno ferito. Mi guarda, si muove un po’, anzi sempre di più. Probabilmente é cascato giù da una rupe che si trova a fianco della strada. Uno strazio comunque.

E’ veramente impressionante la quantità di animali morti in strada: cervi, orsetti lavatori, puzzole, cani, cani della prateria, gatti, corvi, serpenti, armadilli e tanti altri ancora.

Adesso una specie di cowboy sta cantando Sweet Home Alabama  dei Lynyrd Skynyrd abbastanza male. Io so fare veramente meglio. Sbaglia pure le parole e poi sussurra invece di cantare. C’é un gran bel tramonto con vista sulla diga del Glen Canyon.

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Comunque ho avuto ancora una gran fortuna a trovare un posto in motel qui a Page. Ci passai l’ultima volta 2 o 3 anni fa e non ci fu verso di trovare un posto per dormire. Io e Eero arrivammo alle 2 del mattino a Flagstaff, l’unico posto in cui trovammo una stanza.

Eternità

canyonlandsSono seduto al Grand View Point di Canyonlands da solo con una birra celebrativa in mano e sto facendo delle riflessioni sull’eternità. I canyon immensi giù in basso me lo impongono. Ma quanto tempo hanno impiegato il Greenriver e il Colorado per scavare queste gole? Mille anni sembrano tanti ma sono un milionesimo di secondo in confronto al tempo che ha visto mutare questi abissi. Dunque noi viviamo il tempo di un millesimo di secondo, quanto basta per far battere un’ala ad un moscerino della frutta. La nostra vita dura tanto, veramente un cazzo, e non percepiamo assolutamente niente  di questo tempo geologico. La nostra vita é come un’istantanea, é tutto fermo. Noi percepiamo tutto immobile. Ok, i moscerini sono ancora più sfigati.

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animal

Questo tardo pomeriggio, passando attraverso il parco di Capitol Reef, ho incontrato dei cervi che non avevano nessun timore della presenza umana. Una specie di paradiso, insomma. Adesso sono stanco come un armadillo ingolfato e tra un momento vado a dormire. Mi trovo a Torrey in Utah

Emo-Navajo

Ma porcaputtana, prima di arrivare a Moab c’é sempre da star fermi in strada. Mi ricordo che fu così anche nel ’96. Che memoria. Da queste parti fanno sempre strani lavori che necessitano la chiusura completa di una corsia di strada per nessun motivo apparente, poi per farci muovere é sempre assolutamente necessaria l’auto ammiraglia con il cartello “Follow Me” sennò la gente, chissà, andrebbe fuori strada, si lancerebbe giù in un precipizio. Mah…

Comunque questa mattina a Bluff ho visto da un benzinaio un Navajo Emo. Fantastico! Mi sono messo a ridere tantissimo. Bluff é veramente l’ultimo posto della terra in cui avrei pensato ad un a presenza Emo. Ecco, magari non ce li vedo neanche su una qualche sperduta isoletta polinesiana, oppure nell’africa nera.

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Oggi sono stato tutto solo nella Valle degli Dei, e io di solito scrivo sempre la parola dio in minuscolo, non so se ve ne siete mai accorti. 17 miglia di buche e polvere per godere del silenzio unico che si sperimenta nel deserto. Forse il sole fa stare tutto immobile. Gli animali sono tutti rintanati sottoterra o immobili tra i cespugli.lizard La mia pelle scotta. Le mie braccia luccicano di sudore e le mosche mi ronzano intorno come fossi merda prelibatissima. Girano dei micro-scoiattoli ogni tanto, non più lunghi di 10 centimetri, coda inclusa. Velocissimi. Si sentono solo i miei passi e gli scricchiolii del trepiede Manfrotto che oramai ho sempre in spalla ovunque vada. Questo pomeriggio sono entrato nel parco di Arches alle 5 pensando già che fossi in ritardo, invece come mi sta accadendo spesso in questi giorni ci azzecco alla grande.tramonto1 Infatti anche questa volta arrivo giusto in tempo per un tramonto spettacolare che mi lascia senza parole, anche un po’ ricoglionito addirittura. Per colpa del sole probabilmente…

arches

Adesso  é sera e sto vivendo un’esperienza di viaggio tipica: il rituale del bucato. Ho scovato proprio di fronte al ristorante in cui ho mangiato, una Laundry aperta 24h e adesso sto attendendo che i miei stracci asciughino nel dryer. Diverse famiglie Navajo stanno attendendo con me. Donne bruttissime. Oggi ho scattato tantissime panoramiche. Almeno 7 GB di materiale. Facendo due calcoli mi ci vorranno mesi per post-produrre tutte le foto. Domani un’altra tappa di rito sicuramente intensa all’interno di Canyonlands.

Texo al lavoro

Qui dentro alla Laundry c’é un piccolo indiano di forse 3 anni agitatissimo. Ripeto AGITATISSIMO. Continua a correre in giro farfugliando, cade per terra ogni dieci passi. Devono avergli dato una droga. Si rotola a terra e poi a carponi passa sotto tutti i tavoli. Si ferma davanti al distributore di gomma da masticare e comincia a scuoterlo, poi salta istericamente facendo gesti propiziatori per fare cadere le gomme che però non si muovono, allora grida.

Cazzo se lavano male queste macchine. Sotto le acelle di una mia maglietta sono rimasti degli imbarazzanti aloni di sudore fossile, direi a questo punto.

Gary Grancanyon

Che giornata ragazzi! Fantastica. Una delle più belle e intense. Oggi si é trattato di una totale immersione desertica. Dico solo che adesso sono quasi le 10 di sera e mi trovo davanti ad una succulenta bistecca di bufalo. Sono partito questa mattina da Gallup diretto al Canyon De Chelly, una gola nascosta in cui si insediarono gli Anasazi intorno all’anno 1000, in seguito abbandonata e poi rioccupata dai Navajo che ne fecero una specie di fortezza ben difesa.

canyon-de-chelly

indiano-zoppicanteUscendo dal canyon ho incontrato un indiano sul ciglio della strada che zoppicava. E’ curioso constatare come sotto questo sole noi bianchi ci svestiamo, loro invece sono copertissimi e vestitissimi sotto un sole che cuoce. L’indiano faceva l’autostop e l’ho tirato su. Doveva andare a Chinle dal dottore perché la gamba gli faceva  molto male e si era inoltre tutta gonfiata. Mentre ci dirigevamo verso Chinle mi racconta che sua madre é morta il mese prima a 83 anni per una crisi cardiaca, ma pure lui di cuore non sta molto bene. Mi dice che un anno fa é stato operato al cuore e mentre racconta si sbottona la camicia e mi mostra una cicatrice mostruosa che gli segna tutto il petto. SHIT! esclamo io. Arriviamo a Chinle e prima di scendere mi chiede un dollaro. Glielo do e riparto. Intanto devo prendere la consueta decisione riguardo all’attraveramento della Monument Valley. Prenderla da est o da ovest? Sono già le 5 di sera percui decido che é meglio correre subito nella monument per godere della luce giusta. Faccio benzina a Kayenta, mi compero un panino che mangio seduto in macchina. Mi si avvicina un altro indiano dall’aspetto molto trasandato, senza denti e veramente vestito di stracci. Indossa una maglietta nera tutta piena di buchi che sembra esser stata rosicchiata dai topi. Comincia a parlarmi in un inglese misto navajo, misto alkohol. Mi dice di chiamarsi Gary Grancanyon e mi mostra un documento d’identità. E’ vero, di cognome fa proprio Grancanyon. Mi dice che ha fame e chiede 3 dollari. Non uno, non due. Ne vuole per l’esattezza 3. Gli rispondo che se ha fame vado volentieri a comperargli un panino. Torno dopo un attimo e gli consegno il cibo. Lui mi dice e la bibita? “Niente bibita Gary”. Hai degli spiccioli? “Niente spiccioli Gary. Enjoy your food, have a nice day, bye.” Poi parto alla volta della monument Valley.

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Con mia sorpresa scopro che presso il Visitor Center davanti alla maestosa panoramica sui Mittens é stato costruito un grosso albergo. Comincio la mia discesa nella valle. Tutto il percorso segue per circa 10 miglia una strada in terra battuta che gira attorno a queste maestose torri di roccia.

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Scatto furiosamente una panoramica dopo l’altra facendo i salti mortali per non riprendere nessuno nei miei scatti. Quando riguarderò queste foto avrò l’impressione di aver visitato la valle in perfetta solitutdine.

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Infine una piccola considerazione. Trascorro tante ore al giorno in macchina attraversando questi meravigliosi paesaggi ed é veramente difficile fermarsi per approfondire un luogo in particolare. Se avessi a disposizione qualche mese lo farei senza esitazione. Il mio viaggio é qualcosa di diverso dunque, nel senso che il viaggio stesso, il fatto di muoversi, é l’esperienza quasi spirituale che ogni tanto vivo. Il fatto di aver percorso per migliaia di chilometri la “Strada Madre” ne é il segno e il senso anche. Andare ad Ovest non é veramente solo spostarsi a occidente. C’é qualcosa di più profondo. Ogni tardo pomeriggio mi ritrovo a puntare verso il sole su strade desolate e l’emozione é grandiosa. La mia auto oggi é il mio cavallo. Un po’ come Dennis Hopper descrivendo le moto in Easy Rider le paragonava, con una similitudine più che lecita, alla mitologia del “cowboy” in sella al suo cavallo riferendosi alle immagini dei film di John Ford. E in tutta questa esperienza il punto centrale, ciò su cui si focalizzano la mia attenzione e le  mie emozioni, é il VIAGGIO.

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I feel so REAL!

Rich Franklin é seduto a bordo ring e si guarda sul maxischermo. Gli stanno pulendo un grosso taglio sopra la tempia destra. “That’s a bad one!” dice sorridendo con gli occhi alzati allo schermo. Che eroismo e che sense of humor!

Ma adesso sto pensando, in piedi alle 5 e 30 del mattino. Nel cuore del deserto. Bisogna alzarsi presto per cogliere quest’atmosfera… Si tratta di un momento unico. Arriva tutti i giorni ma lo cogli solo alzandoti presto la mattina. Specialmente nel deserto.

L’aria ha ancora quella freschezza che la notte le ha prestato. Cerco un luogo appartato, lontano da qualsiasi sguardo. E’ abbsatanza importante essere soli, avere la mente sgombra. Respiro a pieni polmoni quest’aria profumata che scivola sopra la terra. In questo istante é chiaro il mio ruolo sulla terra. E’ uno di quei rari momenti in cui conosci il senso della tua presenza terrena. Sai di far parte del pianeta. Tutto é in armonia. La mia presenza ha un’importanza assoluta e indispensabile. Raramente colgo l’equilibrio e il significato della mia esistenza come in questi momenti. So solo che capita ogni tanto, inaspettatamente. Capita. Scruto il suolo.”Egli raccolse” deve pur significare QUALCOSA. Il mio nome ha un senso che in questo momento diventa più chiaro. Tutto ha senso adesso. Ogni granello di sabbia, io che setaccio il suolo, che do importanza ad ogni rugosità, ad ogni pietra, ad ogni mucchietto di sabbia. Alzo lentamente lo sguardo… Voglio celebrare il meraviglioso confine tra il cielo e la terra. Mi faccio portavoce della razza umana in questo istante. Voglio celebare il pianeta. Come un alieno che dopo un periglioso viaggio attraverso le galassie giunge nella meravigliosa serenità della terra incontaminata. Questa sensazione rende un’ emozione commovente, eterna. Mi rimprovero di non aver provato più spesso questo sentimento puro… Come l’arrivo su di una spiaggia dopo settimane di deriva in mare. La venerazione! La gioia. il sollievo.

Poi un tentativo altrettanto commovente di comprendere il lavoro del tempo, il segno del tempo sulla terra. Faccio una panoramica a 360 gradi sulle montagne che mi circondano. Cerco di comprendere il senso delle stratificazioni che le distinguono. Penso al mio momento di solitudine in un’eternità immobile. Io sono una virgola in questo discorso infinito. Un’ infima alterazione di questo percorso rallentato. E’ il ricordo di un tempo in cui la musica dei Counting Crows era l’unica colonna sonora della mia vita. Un tempo in cui io ero più buono. Io sono stato un essere migliore, più armonioso, più contemplativo. C’ é un un colle tra Lukeville e Why nell’ Arizona profonda. Ho raggiunto la cima di quel colle un paio di volte nella mia vita. Ho visto la terra da lassù. Un paio di volte nella mia vita ho visto la terra. Mi sono capito. Un paio di volte ho quasi capito il motivo della mia presenza. Poi, trascorsi alcuni giorni, mi sono scoperto di nuovo vulnerabile e perso nella vastità losangelina. In una solitudine lynchiana. Mentra percorrevo Mulholland Drive. L’ultima immagine che voglio ricordare oggi é quella dei delfini che si spingevano al largo dal pontile di Santa Monica. Avevo appena abbandonato il puzzo di vomito nella stanza del Travelodge di Santa Monica. La mia esistenza era ripartita da capo due sere prima. Era come se fossi rinato una seconda volta. O meglio, come se avessi perso tutto il mio passato. Pat aveva perso il suo passato. Eravamo rinati. Le nostre esistenze si erano resettate senza che ce ne accorgessimo. Erano bastate un paio di tequile e qualche paio di “titties” sventolate in faccia ed eravamo rinati. Un barbone che passava due giorni di fila giù in strada era diventato la prova vivente che le nostre esistenze avevavo preso un’altra strada. Avevamo compreso qualcosa di nuovo.

Una nuova luce si gettava sulle nostre esistenze, la luce che vedi un pomeriggio insignificante mentre stai mangiando una grigliata di carne mista in Melrose Place mentre pensi che tutto sia ricominciato in questo istante. Mentre firmi con sicurezza uno scontrino con tanto di tip per una cameriera che non conosci ma della quale credi di aver compreso tutta la disperata vita.
“Awake on my airplane, awake on my airplane” canta Richard Patrick “And I fell like a new born” ripete. “Awake on my airplane, awake on my airplane, I feel so REAL!!!!”
Così mi sento!
ORA!

Caleidoscopio

Devo assolutamente tornare nel deserto. In questo momento ne ho un bisogno assoluto. Devo stare sulle pietre rotonde in mezzo al deserto. Devo sentirmi cuocere la testa nel silenzio mentre saltello da una pietra all’altra. Vorrei rosolare. Vorrei ubriacarmi nel deserto. Vorrei svenire nel deserto e dormirci dentro. Vorrei rotolare nella sabbia e avere sete. Vorrei contemplarlo adesso. Camminarci dentro. Ascoltarlo. Stonarmi e andare in trance nel deserto. Vorrei vedere delle luci caleidoscopiche e delle creature mitiche fatte di paglia. Il cielo potrebbe diventare verde e la terra prendere tutta la scala dei rossi mentre faccio le flessioni con le lucertole. Dondolo la testa lentamente e intanto danzo.

mp3: Kaleidoscope
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Borrego

Mi ricordo che due anni fa, catturato da una specie di raptus da sovraccarico lavorativo, cercavo un po’ di sollievo viaggiando digitalmente sulle pagine di www.desertusa.com. Io ho visitato quasi tutti i parchi desertici del sud-ovest degli Stati Uniti percui cercando spunti per un viaggio futuro capitai sulla pagina dedicata all’Anza-Borrego Desert State Park, un enorme parco a est di San Diego che si estende fino alle acque del Salton Sea. Mi convinceva. Decisi di ricordarmi di questo nome.

Trascorre qualche mese e sto correndo con una Nissan Xterra lungo le strade dell’ angolo basso di California. Come sempre capita, devo assolutamente passare per luoghi che portano nomi incredibili che evocano immagini mitiche nella mia testolina: Tucson, Yuma, Calexico! Che successione! Che strada! Che Tris! Partendo da Tucson io e Eero chiaramente scegliamo di non percorrere la Interstate 10 che ci porterebbe ad ovest più speditamente ma prendiamo la Hwy. 86 che ci spara verso verso il deserto di Sonora, verso la Frontera. Qualche anno prima percorrevo la stessa strada con Pat e un paio di litri di birra in corpo mentre la radio mandava “Cherub Rock” degli Smashing Pumpkins. Porto a casa i fantastici ricordi del tramonto ad Ajo. Il lungo trail a ridosso delle Diablo Mountains nell’Organ Pipe Cactus National Monument. L’agitazione delle Border Patrols sempre a caccia di trafficanti e clandestini. Poi più avanti verso ovest le maestose dune di sabbia di Yuma. E la luce assolutamente strabigliante che ci accoglie, un tardo pomeriggio, risalendo da Calexico in direzione di Indio, nella Coachella Valley. Mi ricordo questa strada drittissima con un sole bassissimo che proietta un’ombra lunghissima della nostra auto. La radio trasmette musica da “La Rumorosa, Baja California”. Ai lati della strada giganteschi muri di balle di fieno e campi sterminati percorsi da lunghe file di spruzzatori automatici per l’irrigazione. Poi giriamo a sinistra passando a ovest del Salton Sea.


Entriamo nell Anza-Borrego Desert State Park all’inbrunire. Ci fermiamo e ci guardiamo attorno. Comincia ad essere un po’ buio per poter godere del paesaggio. La strada é deserta e davanti a noi parte perpendicolare una deviazione sterrata con un cartello che ci sconsiglia con decisione di proseguire “Absolutely no trespassing”.
Tiriamo dritto e cerchiamo con gli occhi di indovinare un luogo che si addica ad una spettacolare sessione fotografica. Dopo ogni dosso potrebbe aprirsi uno scorcio spettacolare. Trascorrono i minuti, si fa sempre più buio, non troviamo nessun panorama mozzafiato ma capitiamo a Borrego Springs, un’inquietante cittadina persa nel nulla con un enorme campo da Golf, un Country Club, un Mall e nient’altro. Ho la sensazione che ci si trovi su di un set cinematografico con le facciate delle poche case vuote che cercano di ingannarmi e di convincermi che qui ci abiti qualcuno mentre di dietro non c’é niente. C’é l’ufficio postale ma non c’é nessuno. Arriviamo in quello che potrebbe essere il centro di questa cittadina (anche se qui in America le città non hanno centro). Le aiuole sono curate, c’é una rotatoria con una bella erbetta verde e anche qui non c’é nessuno. Giriamo e torniamo indietro. Tutto mi fa pensare ad una “ghost town” ma le ghost town non hanno campi da golf. Inutile cercare un Motel. Usciamo da Borrego Spring e ci dirigiamo verso Salton City sulle sponde del Salton Sea.

La discesa é magnifica e rilassante. Le ultime luci si riversano nella valle e in fondo già si vedono le prime luci di Salton City. Cominciamo ad avere fame e siamo moderatamente stanchi. “Welcome To Salton City” ci annuncia un cartello dopo alcuni minuti. Ma le prime luci di Salton City sono anche le uniche. Girovaghiamo per il fitto retticolato di strade vuote di questa cittadina piuttosto spettrale. Ci sono le strade ma non le case.

Per cogliere lo spirito desolato di questa cittadina spettrale consiglio le magnifiche panoramiche di Will Pearson oppure il magnifico documentario Plagues & Pleasures on the Salton Sea con la fantastica musica di Friends Of Dean Martinez

Lasciamo Salton City e ci dirigiamo verso Indio. La giornata si conclude davanti ad una bistecca di 22 oz.

mp3: Borrego

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Bishop

Qualche settimana fa il mio amico Enrico scriveva che non si é mai amata veramente la musica se non ci si é immersi, un giorno o l’altro negli oramai lontani anni 80, nella preparazione di un mixtape. Non c’entra molto con ciò che sto per scrivere ma in ogni caso lo dico: non si può amare veramente la California senza aver amato le magiche armonie dei CSN. Impossibile! Credetemi! Come fai ad andare in California senza avere in testa le melodie di Wooden Ships, o le armonie di Tamalpais High? Impossibile. Per me si tratta di un esercizio impossibile. Un po’ come visitare N.Y.C. e il suo Greenwich Village senza pensare a tutto il Folk e il Jazz che li si é suonato.
Ma quante cazzo di volte sono stato a San Francisco?

mp3: Isadora Lane
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Ora siamo a Bishop e sono felice quando arrivano le chips di mais e la salsa in questa tavola calda messicana. E’ anche arrivato un sontuoso burger, enorme, traboccante di grasso. Ciò di cui ho assolutamente voglia in questo momento. Con un paio di cetrioli, qualche foglia d’insalata e due fette di pomodoro. Il tutto annaffiato da una fresca Tecate. Degli orrendi quadri adornano le pareti di questo locale in cui siamo i soli clienti. Una waitress messicana ci guarda incuriosita, sorridendo poi ci porta altra acqua. Le strade di Bishop sono tranquille in questo pomeriggio caldo. Una Harley tutta cromata passa rombando mentre io quasi imbambolato la seguo con lo sguardo per tutta la strada.

mp3: Discesa
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4:47

mp3: Gamcem
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Ora ricordo quella mattina quando ci svegliammo alle 04:47. Martedì. Con l’orologio biologico ancora stravolto dal volo fu impossibile riaddormentarsi. Avevamo attraversato l’oceano per cercare un viaggio diverso, che a grandi linee avevamo già disegnato nelle nostre intenzioni. Arrivammo nel Sud Ovest degli Stati Uniti con l’intenzione di cercare la solitudine dei deserti, di uscire dai percorsi classici. Volevamo panorami mozzafiato, distese immense, birre celebrative, whiskey celebrativi e viaggi interminabili. Stade da percorrere sotto il sole da mattina a sera.

Tutto comincia con un clamoroso inconveniente. Siamo entrambi senza bagagli. Tutto é andato perduto tra Milano, Parigi e San Francisco probabilmente a causa di un ritardo dovuto alla nebbia che ci fa perdere la coincidenza a Parigi e ci costringe a dormire una notte a Roissy. Abbiamo solo gli abiti che indossiamo e cominciano ad essere imbarazzanti. Io francamente puzzo già di merda. Pat non so, ma forse pure lui. Nel paese degli acquisti (in senso lato) arriviamo di domenica e non c’é verso di trovare un ricambio completo. Ci arrendiamo allo sporco anche se in extremis compriamo in una farmacia di San Bruno dentifricio, spazzolino, e delle orrende magliette con con la scritta “San Francisco”, destinate sicuramente ad un mercato di ottuagenari morenti.
Ieri sera camminavamo per le vie deserte di Roissy (esiste questa cittadina a lato dell’aeroporto di Parigi. Qui in USA la chiamerebbero una “living ghost town”). Vivo questa serata come una delle più surreali della mia vita. Io e Pat siamo completamente persi in un altra dimensione mentre cerchiamo quasi disperatamente dei segni tangibili di vita in questo soleggiato pomeriggio da fine del mondo. Anzi , il mondo é già terminato e come nella “Nube Purpurea” di Matthew Shiel, siamo in giro a zonzo ma non c’é nessuno. Sono tutti morti. Solo tornando in albergo riacquistiamo la percezione dell’umanità che però perdiamo di nuovo dopo cena quando ci permettiamo del Cognac sopraffino che arrotonda per bene i nostri prodigiosi cervelli messi a dura prova durante questo bizzarro pomeriggio.
Ma torniamo a Martedì. Siamo in un motel molto “cheap” a Merced, la “porta del Yosemite”. Ieri ancora un tentativo di recupero dei bagagli all’aeroporto di San Francisco andato a puttane. I miei ricompaiono, ma quelli di Pat sembrano scomparsi per sempre.”Why are you here?” ci dice una responsabile del ritiro bagagli di Air France con un inglese irrimediabilmente compromesso da uno sgradevole accento francese. “I told you not to come”. L’avevamo già dovuta sopportare il giorno prima, al nostro arrivo. “We will call you when the luggage arrives”. Decidiamo lo stesso di partire per il nostro viaggio.

E’ veramente molto presto. L’orologio digitale lampeggia: 04:47 – 04:47 – 04:47 – 04:47 – 04:48. Con una mano sollevo la tenda per vedere fuori. Le prime luci dell’alba fanno capolino. Adoro questi momenti. Un paio di pickup sono parcheggiati qua fuori. Non c’erano ieri sera quando siamo arrivati. Siamo svegli e decidiamo senza indugio di partire. Impacchettiamo la nostra roba, anzi lo faccio solo io perché Pat non ha niente con se tranne spazzolino e dentifricio. Saltiamo in auto e andiamo a cercarci un caffé e qualcosa da mangiare da un benzinaio. Ripartiamo immediatamente dopo e beviamo “on the road” come si conviene. Le strade sono ancora deserte e buie. Attraversiamo tutta Merced ed imbocchiamo la 140 che ci porterà dritti a Mariposa, verso il Yosemite Park, arrampicandoci su per la Sierra Nevada. Stiamo correndo lungo questa strada di campagna che comincia ad illuminarsi. E’ tutto giallo d’erba secca, arsa dal sole con la radio che manda “Going to California”! Non sembra vero. Vedo girare le pale delle “windpumps” che costeggiano questa magnifica strada che ci porterà sulle maestose montagne di roccia del Yosemite.
Attendo il Yosemite ma in verità non vedo l’ora di attraversare il Tioga Pass per cominciare la lunga discesa che mi farà scavalcare la Sierra per scendere verso Bishop, alle porte della Valle della Morte.