Dulcimer

Mi é appena andato di traverso un sorso di Parker’s Heritage Collection. Molto male. Prima di tutto perché fa veramente male respirare questa bomba di bourbon a 64.8 % alc/vol. Credo sia stata la mia esperienza più vicina al respirare fuoco. Secondariamente perché é un peccato non aver prestato la giusta concentrazione durante questa degustazione. Non posso permettermi di sorseggiare con leggerezza questo distillato. Adesso finalmente l’incendio si é sopito e posso continuare con il piacevole assaggio. Questo Bourbon sta nella stessa categoria di altre super-potenze alcoliche come il George T. Stagg di Buffalo Trace oppure il Booker’s di Jim Beam. Anche se più leggero in tenore alcolico rispetto agli altri due questo bourbon ha un gusto molto forte e forse più impegnativo. Porca miseria quanto é forte. Mi sembra di masticare le doghe di quercia della botte che lo ha contenuto. Denso e complesso, questo bourbon é prodotto da Heaven Hill Distilleries, Bardstown, KY.

Perché lo sto assaggiando? Ma per celebrare l’arrivo di un nuovo strumento musicale dalle sonorità antiche e figlio della stessa terra. L’Appalachian dulcimer o mountain dulcimer, uno strumento che procura gratificazione istantanea grazie alla relativa facilità d’esecuzione.

mp3: Appalachia

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Stranger With A Camera

Sto  visionando un interessantissimo documentario, acquistato in DVD da Appalshop, un entità culturale interamente dedicata alla promozione della cultura dell’ Appalachia in tutte le sue sfaccettature. Stranger with a Camera il titolo. Si investigano il clima e le ragioni che portarono all’assassinio del regista canadese Hugh O’Connor che alla fine degli anni sessanta girava con la sua troupe tra le montagne dell’Eastern Kentucky per documentare la miseria e la povertà estrema in cui vivevano gli abitanti dei monti Appalachi. Con le parole della regista Elizabeth Barret, si cerca di capire la scollatura che c’é tra la percezione che ha di se la gente degli Appalachi e la rappresentazione che di essa fanno gli “stranieri”.

C’ é un’ innegabile attrazione per questi luoghi un po’ avvolti nel mistero. Negli anni si é creata un’attenzione a cavallo tra vero interesse e curiosità un po’ morbosa per l’Appalachia e i suoi abitanti. In passato si é probabilmente insistito un po’ troppo sulla raffigurazione della povertà di questa regione montagnosa che in pratica  attraversa tutta la costa est degli Stati Uniti d’America, dai confini col Canada fino al nord dell’Alabama. Il cinema e la televisione hanno pure contribuito a far crescere tutta una serie di stereotipi legati alla vita degli abitanti di queste montagne, dalla produzione clandestina di Moonshine ai comportamenti violenti della gente.

A margine di questa difficile situazione é stato probabilmente molto complicato parlare di questi luoghi con obbiettività. L’esercizio diventa ancora più difficile se lo si fa da stranieri. Probabilmente non é stato facile nemmeno facendo parte di questa grande comunità; Elisabeth Barret é nata e cresciuta nella regione ma la realizzazione di questo documentario, mettendola di fronte ai ricordi di quell’assassinio, ha fatto nascere in lei la necessità di investigare questo incidente che riflette un “lato oscuro ” dell’Applachia.

mp3: Stranger With A Camera

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Jazz Afternoon

Oggi é un jazz afternoon quasi perfetto. Nebbia e pioggia fuori, tutto grigio con la pioggia che scende sottile. Ho appena terminato la  mia spigola spruzzata di limone e accompagnata da qualche patata lessa. Il camino é ancora acceso e l’Europa é avvolta da una nube di cenere. Bellissima parola – cenere –  me la sto ripetendo in testa, suona benissimo.

Sto ascoltando un inconsueto John Scofield totalmente acustico, dall’ album Quiet per prepararmi al concerto di questo tardo pomeriggio. Intanto dopo aver chiuso il capitolo pranzo con un sorso di Ardbeg Rollercoaster mi offro un dessert dolce con la complicità di un Bourbon che ancora devo scegliere.

 

After The Fact
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Poi alle 17 e 30 arriva il concerto di Scofield.

Assisto completamente ipnotizzato per tutta la durata del concerto.

Non é che la sua musica abbia questo effetto sulla mia mente. Anzi tutt’altro. Sembro ipnotizzato per il fatto  che, come sempre capita quando lo ascolto, mi sorprendo tutto concentrato nel vano tentativo di capire la meccanica dei suoi soli, le sue pause, i suoi attacchi ritardati e tutte le sue grandi intuizioni melodiche. Ecco, questo é l’esercizio che mi ha visto assorto e attentissimo durante tutto il concerto con qualche breve pausa che mi ha permesso di catturare qualche immagine.

Port Ellen e Sam Bush

Oggi é domenica, la prima domenica di primavera. Il cielo é grigio, sta piovigginando e tutta la valle é immersa nella nebbia. Mi sono preparato un pranzo sontuoso e adesso, davanti al camino – eh si, sta ancora acceso – mi sto viziando con un goccio di Port Ellen, The Old Malt Cask from Douglas Laing for The Islay Whisky Shop, aged 23 years, distilled april 1982, bottled october 2005, 50% vol/alc. Realizzo in questo momento che questa bottiglia é stata acquistata esattamente un anno fa a Bowmore. Ricordo perfettamente quando entrai all’interno di questo piccolo shop e tra un sacchetto di patatine e un fustino di detersivo, sullo scaffale dietro alla cassa, di fianco a tanti altri whisky uno scaffale raccoglieva in particolare una decina di Port Ellen. Che meraviglia guardarli, tutti assieme, allineati uno di fianco all’altro. Che famigliola! Venite da paparino vostro! Fatevi adottare!

Volevo portarmeli via tutti ma mi sono dovuto limitare ad una bottiglia di 100£ che sto sorseggiando con devozione in questo momento. Ho pure innondato l’aria di fumo di torba per sacralizzare ancora di più il momento. Questa é la mia messa, queste sono le celebrazioni del mio solstizio personalizzato. Mi raccolgo in meditazione mentre il profumo fruttato di mela verde mi accoglie in una verde campagna quando infilo il naso nello sniffer. Ora é caldo, l’erba é alta e sciami d’insetti danzano controluce. Tutto questo é Port Ellen e adesso Port Ellen é un po’ la contea di Bilbo Baggins. Sto ascoltando le note accoglienti del mandolino del maestro Sam Bush, dal suo ultimo disco Circles Around Me, altissima espressione bluegrass. Ma quanto é bella questa musica! Il trionfo della naturalezza acustica con la totale armonia di violino, mandolino, banjo e chitarra.

Kilchoman Autumn 2009 Release

Questa mattina sono partito da casa sotto una magnifica nevicata. Oggi avevo proprio bisogno di ascoltare del buon vecchio Southern Rock e così ho affidato la colonna sonora della discesa ai fratelli Allman e alla loro Allman Brothers Band. “Lord I Was Born A Ramblin Man” canta Dickey Betts mentre accompagno una autostoppista veramente FIGA fino alla stazione dei treni. Direi che la giornata é  ampiamente ripagata.

Ma adesso mentre scrivo devo assolutamente riascoltare la magnifica voce di uno stonissimo Gregg Allman in questa clamorosa testimonianza video. Incredibile! Con gli occhi semi chiusi  e un po’ barcollante offre, nonostante qualche errore, una versione acustica spettacolare di Come And Go Blues. Primi anni ottanta. Questa performance nacque per caso probabilmente. Gli altri membri della band si presero una pausa di qualche minuto, giusto per fumarsi una sigaretta ma qualcuno indugiò su Gregg che si lanciò ispiratissimo in questa versione alla chitarra (non é il suo strumento, lui é tastierista).

Ma tornando alle vibrazioni positive. Già ieri sera tutto mi appariva decisamente migliore nel momento in cui estraevo dalla sua scatola la più recente espressione della produzione di whisky dell’Isle of Islay: la Autumn 2009 Release, OB 46 % di Kilchoman. Evviva! Finalmente! Lo sto aspettando da qualche anno questo giovane whisky. Una delle più giovani distillerie di Scozia, Kilchoman cresce il proprio orzo ed esegue la maltatura su pavimento presso i propri stabilimenti. In passato la piccola distilleria aveva offerto un’ interessante miniatura  del proprio new spirit, in pratica la loro materia prima appena distillata e messa a riposare in botti di Bourbon per circa un mese, quindi imbottigliata a pieno grado. Ora é passato qualche anno e finalmente la distilleria é nella condizione di poter commercializzare il proprio whisky che ha da poco superato la soglia dei 3 anni di invecchiamento. Si tratta molto probabilmente di bottiglie che con gli anni lasceranno spazio a delle espressioni più mature di 10 o 12 anni ma se per Kilchoman é finalmente giunto il momento di raccogliere i primi frutti del proprio investimento, per gli appassionati della torba si presenta una nuova opportunità per assaggiare un peated whisky nato nel luogo che più di ogni altro ha prodotto questa particolare caratteristica aromatica.

mp3: Peat
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Octomore

Ho appena finito di cenare e nonostante tutto fosse estremamente buono e dosato con coscienza c’é un senso di pesantezza che solo un buon whisky può alleviare. Questa volta la mia scelta consiste in un assaggio assai speciale. Uno di quei whisky che tiri fuori dalla bacheca quando vuoi fare assaggiare agli ospiti qualcosa che senza dubbio non hanno mai assaggiato.

Octomore 02.1 edition aged 5 years,  62.5  % alc./vol. 140 ppm, prodotto da Bruichladdich. Qui la scheda in PDF. Il whisky più torbato al mondo. Un poema terroso, una nuvola di fumo avviluppante che al primo sorso ti lascia un momento in sospeso, una virgola che ti blocca e ti sorprende. Lo trattieni un momento sulla lingua e ti ripeti nella testa “ma é davvero torbatissimo…” Poi cerchi di pensare ad un Ardbeg Supernova o ad un Port Charlotte per capire quanto più potente é il distillato che stai assaggiando. Non puoi che concludere che stai assaggiando un liquido assolutamente speciale, molto più potente di ogni altro torbato ma assolutamente godibile e facile da bere, al contrario di altri whisky torbati che pur non offrendo una concentrazione di fenoli così esagerata risultano poco bilanciati e  dunque meno gradevoli. Nonostante questo primo impatto in cui il fumo é predominante,  uno scivolo dolce ti prende in consegna dopo lo shock iniziale e ti accompagna verso un finale lungo, sicuro e sorprendentemente maturo per un whisky così giovane. Anche solo lo “sniffer” vuoto emana un odore penetrante di carbone di torba. E’ l’odore che c’é nell’aria a Port Ellen o a Port Charlotte, sull’ Islay. E’ l’essenza di questa fantastica isola, rinchiusa in questa bottiglia nera.

mp3: Obsidian
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Guano Padano

E’ passata un’altra settimana e sono di nuovo al Circolo Magnolia, di fianco all’idroscalo di Milano, mi sto gustando un’ottima Kilkenny alla spina e ho voglia  di scrivere un poema lunghissimo questa sera. Siamo in pochissimi per il momento. In sottofondo musica bellissima shoo bap, shoo bap mentre sono seduto nel settore un po’ lounge di questo posto, direi. Stanno proiettando un poliziesco italiano degli anni settanta con Yanez De Gomera, che non mi ricordo come cazzo si chiama.

Questo pomeriggio Randy Couture ha demolito il buon Mark Coleman nello scontro tra veterani “Hall of Famers” dell’ Ultimate Fighting Championship, al Mandalay Bay Events Center di Las Vegas. Tutto é avvenuto ieri sera ma grazie all’altruismo degli internauti i combattimenti erano disponibili in rete già un paio di ore dopo l’evento.

Qui invece stesso buttafuori rumeno dell’altra volta che tra le altre cose raccontava settimana scorsa di essersi mangiato 24 galline per cena.

Ho scoperto che perdo forfora dalla barba, quella sul mento e mentre faccio questa scoperta i Guani stanno mangiando qui al tavolo di fianco.

Oggi mi sono sentito di fare qualche esercizio di recupero nel simpatico giardinetto della mia memoria. Ho tolto un po’ di erbacce e ho rimesso in bella vista delle piante che tenevo nascoste da un po’. Cosa ci può essere di più bello di un pomeriggio passato nel deserto a girovagare tra i resti di antiche presenze umane, nel silenzio e nella solitudine? Per me ci sono poche altre cose che valgono tanto. Stare li alla ricerca di segni, di cose, rotte possibilmente. Indizi di una presenza umana terminata. Cazzo! Ma quanto mi piace la ruggine. Adoro tutte le cose scassate. Spesso una cosa comincia ad interessarmi quando smette di funzionare.

Ma che palle il calcio. Ora non c’é più il poliziesco ma Fiorentina e Roma che rompono le palle. Sono le 21 e 32 e qua niente lascia intravvedere una decente platea da concerto, anzi adesso mi torna in mente una domenica sera di 11 anni fa a Jacksonville in Florida con gli Inasense (oggi Soulfarm). Ci trovammo in un locale dimenticato da tutti, in periferia, con tre spettatori di numero. Una serata indimenticabile.

Porcattroia fa abbastanza freddo qui dentro e i Guani non hanno nessuna intenzione di cominciare. Cominciate cazzo! Ma in fondo chi se ne fotte… Non esiste più il tempo e io sono in giro a zonzo un po’ come quando ero in USA. Adesso mi sorge però il dubbio! E se avessero già suonato. Magari stanno solo cenando e poi vanno fuori dai coglioni. Fra un po’ me ne torno a casa, azz.

Guano Pagano

L’attesa é stata finalmente ripagata:

Qui sotto non si tratta della serata al Magnolia ma il pezzo é perfetto per chiarire in quale territorio musicale ci portano i Guano Padano. Si passa dal rock desertico alla Calexico, alle atmosfere sospese di chitarre eteree che mi ricordano la timbrica di Bill Frisell, lap steel lunghissime e pedal steel riverberate alla Friends of Dean Martinez. Ovviamente Morricone é dietro l’angolo.

Pizze in faccia

Eh, ma che bella atmosfera all’interno del Circolo Magnolia questa sera. Sto bevendo una McFarland in attesa del concerto degli ZU. Prima di entrare mi infliggo una gelida attesa fuori nel parcheggio, scambiando quattro chiacchere col buttafuori rumeno.

Solo adesso mi accorgo che qui hanno una piccola selezione di whisky scozzesi! L’ingresso é delimitato da una spettacolare tenda di fibre ottiche e il locale si sta lentamente riempiendo. Mi preparo a ricevere “pizze in faccia” come preannunciava la pagina di presentazione dell’evento, sul sito del Circolo Magnolia. Sonore, si intende…

Adeguo il mio cervello alla matematica del carbonifero: 1 – 1  2 – 1 2 3 – 1 2 3 4 – 1 2 3 4 5 – 1 2 3 4 5 6  e riattacco. Micidiale!

Adesso mi faccio un Talisker. ALLA GRANDE! 7€, non single, non double, probabilmente neanche triple. Mi sto ciucciando un Talisker quadruplo con un interessante gruppo ad aprire la serata: Melloncek, batteria, basso, chitarra, piano elettrico, sassofono, trombone e sassofono ZU.

Ho deciso che il mio whisky é ottuplo. Anzi, no, sto bevendo il mio dodeca-Talisker e sono felicemente immerso nella creatività di questa band che mi ispira, ora ricordandomi un po’ Jim ‘O Rourke, ora un perfetto jazz-rock colto degli anni 70 un po’ alla Sea Level.

Ora voglio ribadire il concetto del giovedì sera! Forse la sera più creativa della settimana, senza le grandi aspettative del venerdì o l’urgenza del sabato. Questo é il giorno perfetto per consumare cultura, per cibarsi di creatività, per ruttare ingegno e cacare produttività.

Al bar qua di fronte a me troneggiano prepotenti 22 bottiglie di Pampero. Intanto i Melloncek hanno finito dicendo che il loro disco esce settimana prossima, ma c’é ancora quello vecchio. Ne sono rimaste 8 copie.

Ora gli ZU cominciano, vado e vedo se riesco a fare qualche ripresa.

Beef Jerky v2.0

Ma quanto é buono questo nuovo beef jerky? Me lo chiedo veramente. Sto gustando una fantastica carne con un gusto lunghissimo. Devo confessare che rispetto al precedente post sulla carne impacchettata USA qui ci troviamo su un altro pianeta. Sto assaggiando il Black Pepper Beef Jerky di beefjerky.com e credo di gustare uno dei migliori jerky mai assaggiati. Se chiudo gli occhi mi vedo mentre guido da qualche parte in USA, perso nel nulla, col deserto tutt’intorno e un po’ di musica appropriata nelle orecchie.

Questo jerky é arrivato in due versioni, Black Pepper Beef Jerky e Hot Red Pepper (Ring of Fire). Il primo, come già detto é assolutamente perfetto. I tagli di carne sono generosi e la consistenza é perfetta. Non si tratta di uno snack che divori in un secondo. Questo jerky si lascia trastullare per un momento. La marinatura rilascia a lungo i suoi aromi e il pepe da quel kick necessario (come direbbero dall’altra parte della grande pozza).

La Red Hot Pepper invece richiederebbe un capitolo a parte. Veramente aggressiva. Il tipico snack per le prove di coraggio durante le serate tra amici, quando il vino o la birra ti fanno superare la soglia della comprensione e ti fanno entrare nel regno dell’incoscienza. Fin troppo piccante. Occorre pulirla un poco, rimuovendo l’eccesso di peperoncino assassino e i bocconi diventano assai appetibili. Si tratta comunque sempre di roba per stomaci forti.

Mamma mia però, che voglia di bere whisky che mi é arrivata adesso, tutta d’un tratto, incontenibile.

Va bene, mi arrendo e apro una bottiglia speciale. Non capita spesso di poter gustare un whisky di 38 anni ma é quello che sto facendo in questo momento. Old Pultney di Gorgon & MacPhails distillato nel 1970 e imbottigliato nel 2008. Uno dei grandi acquisti ritornati a casa con me dopo il mio soggiorno scozzese. Sono fiero di questa bottiglia! 43% di volume d’alcohol per questo delicato whisky del nord delle Highlands scozzesi. Tutti questi anni nel legno lo hanno ingentilito ma le alghe e il gusto salmastro del porto di Wick sono ancora presenti in questo distillato che mi accoglie con i gusti di un bel cesto di frutta. Per l’occasione recupero un disco di Pat Metheny finito troppo velocemente tra i CD del mio scaffale. One Quiet Night é un ritorno alle atmosfere semplici e morbidissime che una semplice chitarra e un microfono possono offrire. Che immagini di campagna! Malinconia! Autunno! E questo whisky che sintonizza anche il mio gusto e il mio olfatto sulla stessa lunghezza d’onda del mio udito… Non male, tre sensi su cinque completamente devoti all’ ascolto di Metheny!

I Wilco mossi

lap-steel

Arrivo in questo istante a Zurigo come se stessi andando a Los Angeles o Frisco. Ho creato un microclima perfetto nel mio cavallo di ferro e sto ascoltando una compilation riuscitissima di musica americana autentica. Infatti questa sera avrò l’onore e il piacere di assistere al concerto di una vera band americana: Wilco. Ho costeggiato il lago di Zurigo con le ultime luci della sera e sono arrivato alla Volkshaus senza alcun problema. Appena uscito dall’auto, Enrico (altro grande appassionato di Wilco) mi telefona per “controllare” che io sia veramente a Zurigo. Anche lui freme nell’attesa dei Wilco a Firenze. Ci promettiamo che non ci racconteremo nulla del mio concerto fino alla fine del suo. Intanto mi trovo in una “kebabberia” e una televisione alla mia sinistra sta trasmettendo una specie di MTV turca. I clienti che entrano salutano con dei magnifici “Asalaam ‘Alaykum”. Fra un istante apre la Volkshaus e allora io vado, non prima di aver pisciato e di essermi imboscato la macchina fotografica nelle mutande per farla entrare a teatro. Devo riuscire a fare qualche scatto.

Non ho nè la voglia nè la capacità di recensire il concerto, ma posso solo dire che mi ha veramente emozionato e la dimensione ridotta della sala mi ha permesso di stare veramente a contatto con la band e con la musica. E’ veramente un altro modo di vedere e sentire musica. In compenso le foto che ho scattato sono uno schifo. Tutte mosse. I Wilco sono delle nebbie, sempre tutti mossi. Nels Cline é una furia scatenata, una trottola impazzita che salta e si dimena come neanche un ventenne di una punk band, mentre di fianco a me un altro spettatore sta scattando alla grande con una macchina fotografica professionale. Che frustrazione!