Nipponica

Ricordi stropicciati di una settimana trascorsa in Giappone.

Parte I

Il viaggio in aereo dall’Italia al Giappone é veramente un po’ troppo lungo per i miei gusti ma é reso più sopportabile dalla Economy Premium di Alitalia che mi offre almeno 20 centimetri in più rispetto all’Economy, di vitale importanza per le mie ginocchia. Inoltre gli schienali non sono reclinabili e così si evitano monumentali rotture di scatole. Grazie ai centimetri in più é tutto il sedile che slitta verso il basso come su uno scivolo e ti permette di stare leggermente più orizzontale senza rompere le palle a nessuno.

Alla stazione ferroviaria dell’aeroporto Narita riscuotiamo il JR Pass che tornerà utilissimo sull’arco della settimana.

Portiamo i nostri bagagli all’albergo nel quartiere Chūō, a pochi passi dalle fermate del metro Bakurocho e Kodenmacho. Le stanze sono veramente microscopiche – 10 m² incluso un modulo prefabbricato contenente gabinetto e doccia – ma siamo felici di prenderne possesso. Ricordo una visita al quartiere di Asakusa con una tappa obbligatoria al tempio Sensō-ji, attraversando il Kaminarimon, la porta d’ingresso al viale che conduce al tempio. DSC_0435Noto subito le svastiche dorate che adornano le arcate che sorreggono il tetto. Camminiamo attraverso una folta folla impastata di turisti e devoti. Il cielo é grigio-coperto, le botteghe lungo il viale vendono dolci tradizionali, ombrelli di bambu e carta, souvenir assortiti e schede telefoniche. Giunge anche il magico momento del primo pasto tokyoide. Ci infiliamo dentro al ristorante Sansada, proprio di fianco al Kaminarimon e stiamo abbastanza leggeri con un piatto misto ottimo ma abbastanza caro. Qui vige l’usanza di mettersi a tavola scalzi e il tavolo é veramente bassissimo per noi che sembriamo i LA Lakers. Per stare seduto a tavola assumo una posizione assolutamente innaturale che nel giro di 15 minuti mi procura un bel assortimento di crampi bilaterali.

Usciti dal ristorante godiamo di un ottima veduta aerea dalla cima di un palazzo.

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20150406_21221120150404_192050Ho poi vaghi ricordi di una passeggiata un po’ onirica – forse irrompeva la stanchezza da jet lag – lungo una via abbastanza deserta con negozi di articoli da cucina su entrambi i lati. Era forse l’ora della chiusura, cominciavo ad avere allucinazioni da spossatezza, ma il ricordo che ho é quello di un passaggio esteticamente raffinato, anche tra gli scaffali stracolmi di vasellame, caraffette da sake, servizi da tè e spettacolari vetrine di sampuru (da sample), cioé i piatti in plastica o ceramica che riproducono in modo estremamente realistico le pietanze servite nei ristoranti.

Poi in metro raggiungiamo Ueno e cominciamo a percorrere delle affollatissime strade popolari che seguono la linea ferroviaria sopraelevata. Gli spazi al di sotto dei binari sono tutti occupati da negozi e ristoranti. Questo é il clima che mi piace. Lentamente cominciamo a percepire un’atmosfera vagamente bladerunneriana. Ci sediamo all’esterno di un primo locale e ordiniamo subito 4 birre e un po’ di spiedini alla griglia con un po’ di contorno. Al tavolo di fianco al nostro esigono un brindisi con noi. Ci si saluta e si brinda senza che si sia in grado di comprendere una sola parola delle nostre conversazioni incrociate. Loro solo in giapponese noi solo in italiano con un po’ di inglese.  Tutto perfetto direi. Fa abbastanza fresco questa sera e siamo tutti coperti e incappucciati. Al termine di questo spuntino frugale andiamo a cercarci un altro posto.

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Pat intercetta un locale dall’aspetto accogliente e ci precipitiamo dentro. Traditional IZAKAYA house Bi Bi Bi di Akira Tanaka. Questo locale celebra il nostro incontro ufficiale con il sake. L’oste generosissimo, ce lo serve facendolo trabboccare in queste fantastiche scatolette di legno che fungono da sottobicchiere. Accompagnamo questa epica bevuta con pinne secche di pesce e risate. Prima di uscire l’oste ci omaggia con uno spuntino che ci servirà per trovare la strada del ritorno.

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Partiamo alla ricerca di un posto in cui cenare. Qui sotto la sopraelevata si sta maledettamente bene. C’é tutto un mondo laborioso di piccoli businness, un fiume di gente che va e viene, caos urbano, cibo, vetrine fluorescenti, scatole ammucchiate, insegne luminose, il treno che passa, gran baccano, gente che urla, che si urta, folate di cibo cotto, fritto, che ancora sfrigola sui fornelli, fumo, noi avanziamo senza meta, alla ricerca di stimoli. Scoviamo infine questo locale in cui si servono dei ramen abbasanza leggendari e ci mettiamo in coda. Si ordina tutto ad una biglietteria automatica che sembra una slot machine. Attendiamo una decina di minuti prima di poterci sedere – é difficile ottenere una combinazione di 4 posti liberi al bancone di questo stretto locale – ma infine arriva anche il nostro turno. E’ animalesca la voracità con la quale affronto questa scodella di ramen guarniti con maiale affettato e un uovo marrone con il tuorlo quasi trasparente che avrà certamente subito un sapiente metodo di cottura  a me totalmente sconosciuto. Impariamo presto che per mangiare dei ramen bollenti bisogna produrre un suono di risucchio direttamente proporzionale alla temperatura della pasta che si ingerisce. Dopo aver cenato o forse anche prima mi ricordo di essere entrato qualche minuto all’interno di una sala in cui si gioca a Pachinko, il flipper nipponico senza destrezza necessaria. Tutti stanno ipnotizzati davanti alla propria macchina mentre le palline scendono a cascata in un inferno caleidoscopico di luci al neon e rumore industriale.

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La mattina seguente ci riserva la pioggia. E pensare che eravamo venuti in Giappone per ammirare i ciliegi in fiore. E allora andiamo a vederli ugualmente, al parco. Questa pioggia e le temperature non proprio primaverili devono aver rovinato le vacanze a molti giapponesi che a quanto pare si spostano a milioni per assistere al fenomeno della fioritura nei parchi delle più importanti città del Giappone. In effetti li vediamo accamparsi sotto agli alberi, a fare il picnic sotto la pioggia, togliendosi le scarpe, coprendo i piatti con la plastica. Una tristezza…

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Visitiamo il distretto di Akihabara, la città elettrica. Mandrake, uno store multipiano, soddisfa appieno la nostra curiosità in merito ai manga. In altri negozi rimaniamo abbastanza di stucco. Ci sono delle action figures che non ho mai visto nei negozi di giocattoli dalle nostre parti. A mezzogiorno ci infiliamo in un ristorante stretto ma su due piani. Da una ventola sul soffitto scendono ventate di aria caldissima. Scegliamo ancora ramen. Di fuori piove e fa freddo e abbiamo dunque bisogno di qualcosa di caldo. Completiamo la reidratazione con una bella birra.

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Nel pomeriggio ci spostiamo a Shibuya giusto per dare un’occhiata ad uno degli incroci più affollati della terra. Le immagini della gente che lo attraversa contemporaneamente, dai quattro lati della strada e in diagonale, sono famose in tutto il mondo. Ci infiliamo poi in un grande magazzino a pochi passi dall’incrocio. Shibuya 109, the Tokyo’s fashion hotspot for young Japanese women. Qui dentro mi sento veramente fuori luogo. Usciamo poco dopo e ci dirigiamo a Roppongi. Di questa prima parte di pomeriggio ricordo una birra bevuta in una laterale di quella che sembra la Fifth Ave. in versione giapponese. In questa occasione torna utilissimo il mio kit ellettrogeno per ridare succo ai cellulari a secco di energia. Poi entriamo nel suggestivo Gonpachi. Pare che questo ristorante abbia ispirato il design della sala del gran duello finale di Kill Bill. Tutto un po’ tourist trap ma c’é una bella atmosfera e finalmente riesco a bere un Highball drink che va tanto di moda qui in oriente. Si mangia anche un po’ di sashimi ma non é sicuramente abbastanza. Usciamo con l’intenzione di trovare uno di quei bei sushi bar con il bancone che gira tutto attorno ai cuochi che tagliano, sfilettano e assemblano piccole meraviglie di riso e pesce. Troviamo un locale con queste caratteristiche, sembra perfetto. Ci sono quattro giapponesi e altri 4 posti liberi fatti apposta per noi. L’unico inconveniente sta nel fatto che il menu é scritto esclusivamente in giapponese, non ci sono immagini e i cuochi non parlano una parola di inglese. Non una! Ma a noi non importa, abbiamo una tecnica infallibile che sicuramente ci procurerà tante soddisfazioni. Ognuno di noi sceglierà alla cieca e ordinerà per quattro. Infallibile, no? Sbirciando nel piatto degli altri clienti vediamo cose meravigliose e dunque siamo certi che questa carta giapponese che abbiamo davanti agli occhi non può che riservarci godimento. Deve per forza essere una lista di prelibatezze ittico-nipponiche. Lo spirito culinario di un intera nazione racchiuso in una paginetta plastificata tutta decorata di belle iscrizioni ideografiche.

Comincio io. Scorro con il dito questa lista indecifrabile alla ricerca di chissà che cosa. Prendo tempo come se da un momento all’altro potessi avere un’illuminazione confuciana e comprendessi il significato di una di queste linee: “Ah, ma certo, questo é un nigiri e quello un Ikura gunkan maki sushi. Come no! Temporeggio ancora un poco per vedere se qualche porzione di giapponese stampato può in qualche modo assomigliare all’italiano. Non credo! Alla fine mi butto e scelgo. C’era questa serie di caratteri che a mio avviso era esteticamente più apprezzabile di altre, come se si trattasse di un qualche tipo di sushi roll. Il mio intuito infallibile avrà sicuramente scelto bene. Lo percepisco. Mi giro verso gli altri e dico “Scelto!” Richiamo l’attenzione di un cuoco e gli indico col dito la mia scelta sulla carta e poi gli mostro 4 dita per fargli capire che non ne basta uno, eh no, troppo poco – ma hai visto come siamo grandi? – ce ne vogliono quattro porzioni, una a testa. Caro il mio cuoco, questa sera ti svuotiamo il ristorante, ti finiamo le provviste. Domani dovrai fare la spesa grande! Il cuoco mi guarda stupito poi si gira verso il suo collega e gli indica quello che ho ordinato. Sembrano perplessi.

Accidenti! Questa reazione non promette bene. Devo aver toppato alla grande.  Riusciamo però ad ordinare un paio di caraffette di sake che rendono l’attesa più tranquilla.

Giungono infine in tavola quattro piattini con con 2 bacelli di fave bollite a testa. Non ho quasi niente da dire. Buone le fave, per carità… Ma ci eravamo immaginati altro. Anche gli altri clienti, con ancora tra le bacchette morbidissimi tranci di toro sashimi, guardano perplessi mentre apriamo i bacelli. “Ma che buoni i bacelli! Ah… signori! Questi bacelli sono veramente ottimi. Degli ottimi esemplari di bacello di fava”. Vabbé, se alla prima non ci é andata bene, andrà bene la seconda. Sceglie Eero ora. La tecnica é sempre la stessa. Si punta il dito sul menu e si ordina X 4. Vediamo come va a finire questa volta. Capiamo subito che anche questa seconda scelta non rientra nella normalità perché il cuoco non ha proprio idea di come si prepari questa cosa. Comincia la consultazione tra i due cuochi. Quello più esperto cerca di spiegare all’altro come si prepara quello che abbiamo ordinato e noi capiamo purtroppo di aver toppato una seconda volta. Ma com’é possibile? Ma cosa abbiamo ordinato questa volta? O si tratta di un piatto talmente prestigioso che solo il sushi chef ha il diritto e la competenza per prepararlo oppure abbiamo scelto qualcosa che nessuno di solito ordina, dunque una merda.

Arrivano quattro ciotoline con della roba viscida di chiara origine animale tutta ricoperta di salsa agrodolce che mi ricorda vagamente una specie di senape. Non abbiamo idea di cosa sia. Cerchiamo di chiedere al cuoco ma é un impresa che non può avere successo, anzi, i due cuochi ricominciano a consultarsi intensamente. “Non fa niente, va bene così. Arigato gozaimas“. Anche in questo caso non é esattamente quello che ci aspettavamo. Ora arriva il turno di Pat e inanelliamo la terza sconfitta di fila con un ordine dall’apparenza e consistenza sconcertanti. Sia ben chiaro che io sono in grado di mangiare qualsiasi cosa, meccanicamente parlando riesco ad inghiottire qualsiasi cibo e dunque questo strano salsicciotto verde biancastro che il cuoco taglia a fettine di un paio di millimetri di spessore va giù in ogni caso e senza esitazione, nonostante la consistenza dura, gommosa e non particolarmente saporita. Al quarto tentativo forse riusciamo ad assaggiare un po’ di pesce ma non ricordo bene. Uscendo da questo locale il bilancio é chiaramente negativo e si rende dunque necessaria la ricerca di un altro ristorante. Entriamo in un locale dall’atmosfera un po’ lounge, scalzi, con luci soffuse, pavimenti in legno e tavoli ad altezza caviglia. Qui finalmente mangiamo cibo riconoscibile dalla carta del menu e beviamo ancora dell’ottimo sake. Verso l’una del mattino camminiamo nella notte arancione scuro, siamo avvolti nel velluto porpora e scivoliamo tra i palazzi, attraversiamo gli incroci, siamo leggeri, infaticabili e spensierati. Troviamo poi un whisky bar con staff abbastanda cordiale ma non fino al punto da farci lo sconto per un Macallan del ’70 che avrei veramente voluto assaggiare ma al quale ho rinunciato. Sta al secondo piano di una piccola palazzina. L’atmosfera é un po’ lynch-kubrickiana, tutto scuro qua dentro e curiosi personaggi al bancone che fumano robustos mentre Mr. Grady lucida i bicchieri.

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Lunedì mattina splende il sole sul Giappone. Questa é la giornata che aspettavo con impazienza fin dalla partenza. Oggi é in programma la visita a Tsukiji, il più grande mercato del pesce al mondo. Mi alzo con un anomalo giramento di testa. Le cose si complicano in metropolitana durante l’ora di punta. Devo uscire all’aria aperta in fretta altrimenti vomito. Facciamo qualche isolato a piedi poi gli altri continuano in taxi mentre io cerco di riprendermi un po’. Arrivo nei pressi di un parco e mi devo mettere a sedere un attimo. Ma non mi può capitare sta roba proprio oggi. Dopo una quidicina di minuti arrivo al mercato e lentamente comincia la mia guarigione. Mi ci butto dentro, in questo quartiere-mercato estremamente caotico ma fondamentalmente tranquillo. Devi avere gli occhi tutt’intorno alla testa perché arrivano potenziali pericoli da ogni direzione. I mercanti girano a bordo di carretti elettrici con un grosso volante davanti e sfrecciano tra le strette viuzze di questo enorme mercato coperto. Giro in un frenetico stato di sbalordimento cercando di cogliere con la mia macchina fotografica quante più immagini possibili. Voglio cogliere l’essenza di questo luogo. Si vende praticamente tutto ciò che il mare può offrire di commestibile: ogni tipo di pesce, mollusco e crostaceo. Degli sciabolatori samurai tagliano tonni interi con un armamentario spettacolare di coltelli di ogni dimensione. Sangue, teste di tonno, pinne dorsali, conchiglie, polistirolo, acqua ovunque, cubi di ghiaccio, biciclette, legno e ferro. Al termine della visita riesco a ricongiungermi con il gruppo. Facciamo visita alle bancarelle che si trovano al di fuori dell’area coperta del mercato dove compero fish jerky in grande quantità oltre a dell’ ottimo tè e una bella teiera.

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DSC_0509Nel primo pomeriggio rendiamo visita al palazzo dell’imperatore. Il parco che lo circonda é gigantesco. C’é il fossato con l’acqua, come per ogni castello che si rispetti. Tutte le aree del parco danno l’impressione di essere sottoposte ad un rigido protocollo di sicurezza e se un turista si azzarda solo a mettere il piede oltre una qualsiasi barriera, catenella di delimitazione, partono subito i fischietti incazzati delle guardie, anche da centinaia di metri di distanza. E’ comunque tutto chiuso, non si può entrare da nessuna parte, si può solo fare il giro seguendo il perimetro del parco lanciando qualche occhiata teleobiettiva all’interno. Ci rompiamo presto le palle e ci dirigiamo verso la bella stazione dei treni per fare le prenotazioni del Shinkansen che domani ci porterà a Osaka, 500 km a sud ovest di Tokyo.

DSC_0522Ricordo che in seguito si rende necessaria una pausa per il pranzo. Mangiamo degli ottimi Udon serviti in delle enormi zuppiere in uno degli innumerevoli ristoranti all’interno di un grattacielo nei pressi della stazione. In serata facciamo sosta dapprima in un pub che serve dell’ottimo Hakushu Single Malt ad un ottimo prezzo poi in un bel bar in cui dietro al bancone c’é anche una bella griglia fumosa sulla quale stanno cuocendo un sacco di ottimi spiedini per accompagnare la birra o il sake, come facciamo noi.

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L’indomani partiamo infine per Osaka, di prima mattina. Alla stazione di Tokyo ammiriamo la linea stupefacente dei treni Shinkansen e anche l’efficienza delle squadre di pulizia – le donne tutte vestite di rosa – che prima che i treni partano ripuliscono meticolosamente ogni carrozza. Arriviamo ad Osaka dopo tre ore di viaggio. Portiamo le borse all’albergo ed é già tempo di ripartire. A 15 minuti di treno da Osaka si trova una cittadina con un nome che non può lasciare indifferenti gli appassionati di whisky: Yamazaki! La culla del whisky giapponese. Accanto all’impressionante whisky library ci regaliamo una spettacolare degustazione dei prodotti della casa.

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798 Art Zone

La velocità nasconde le cose: sto attraversando le alpi, stupende, e vedo le creste innevate attraverso l’elica destra di un Saab 2000 che gira vorticosa e trasparente. Tutto bellissimo stamattina con il sole radente.

Ma cazzo, negli aerei c’é sempre puzza di scoreggia! Qualcuno col culo sporco, di sicuro. E’ una costante.

Adesso sono seduto fuori dall’albergo qui a qualche chilometro dal 798 Art Zone nel distretto di Chaoyang a Beijing e una coppia di chitarristi cinesi canta e suona alla prefezione musica americana e britannica per un pubblico prevalentemente americano mentre fumo uno spettacolare Cohiba, Fidel Castro é annunciato morto e un ottimo Glenfiddich mi lubrifica di piacere.

Abbiamo cenato in un ristorante abbastanza popolare, con sedie, muri e pavimenti abbastanza luridi ma cibo notevolmente speziato che lascia presagire un po’ di sofferenza per domani mattina. Pechino assai soleggiata questo pomeriggio mentre facevamo sopralluoghi presso il distretto artistico del 798, nell’area 751, con le spettacolari strutture metalliche che per me significano paradiso estetico rugginoso e ispirazione cromatica.

Sono sveglio da 39 ore…

Qibao e Beijing

Oggi abbiamo fatto tappa presso la cittadina di Qibao, nella periferia di Shanghai. Si tratta di una di quelle cittadine sorte sull’acqua, come Wuzhen. Tutto risulta essere più popolare però. Una via principale che porta verso il fiume è stretta e affollatissima di gente che si ammucchia per riuscire a comperare del cibo abbastanza orrendo e evidentemente lurido. Zampe di porco caramellate, quaglie allo spiedo, infilzate prima nell’occhio e poi a scendere dentro il petto. Uova di rondine in crosta, tutte incollate in un grosso blocco di sale a caverna. Uova col pulcino degli ultimi giorni prima della schiusa bollite in grandi teglie metalliche con brodaglia verde scuro. Lumache nel guscio, gabbie con galline vive, strettissime davanti a tavolacci di legno tutti ricoperti di sangue e interiora delle galline che già sono state macellate. A terra ci sono scatole di polistirolo con pesci vivi che boccheggiano pancia all’aria in 5 cm d’acqua. Anche le verdure sembrano passarsela poco bene. Il tutto è costantemente accompagnato da un fortissimo puzzo piuttosto nauseabondo e un pungente odore di urina di mille anni, o meglio mille anni di urina potrebbero avere questo lezzo.

Ultimi giorni di Cina ora, qui a Pechino nell’ hutong Lanfangsantiao tra vicoli strettissimi e roba ammucchiata dappertutto. E’ mezzogiorno e mi sono infilato nel primo ristorantino che ho addocchiato. Credo che servano cucina mongola. Mi hanno presentato un menu in cinese senza immagini. Ho tentato di spiegare che volevo una soup e dei noodles ma mi hanno fatto capire che non era nel loro menu, mostrandomi il fornello di bronzo per quella che abbiamo oramai ribattezzato la fondue mongola. Qua dentro non si parla una sola parola di inglese e sono giusto riuscito a pronunciare in cinese “píjiǔ”, la parolina magica che mi regala una buona Yanjing Beer che ora sto godendomi alla grande. Ho poi indicato al cameriere un piatto che qualcuno qui di fianco stava pappandosi con gusto e fra un po’ arriveranno dunque in tavola dei ravioloni fritti dal contenuto totalmente sconosciuto. Parte anche la seconda Yanjing e godo. C’è giusto un televisore sgangherato che sovrasta questa saletta e van Nistelrooy ha segnato una rete stupenda. Oggi ho fatto l’esperienza dello spaccio di tè cinese sperimentando due modalità di accoglienza opposte. Sono entrato in un negozio per stranieri con le hostess che cercavano di indurmi all’ acquisto senza farmi respirare: “prova questo, prova quello, oolong, lonjing, jasmine, odora qua, odora la” e io che continuavo a dire che volevo solo dare un’occhiata ingiro. Alla fine sono dovuto uscire perché mi sentivo soffocare. Attraverso la strada e entro in uno spaccio con un profumo spettacolare, due banconi, uno a destra e uno a sinistra. Ad entrambi fanno la fila i cinesi (e solo cinesi).

In basso, dietro al bancone, grosse vasche stracolme di tè e alle pareti grossi barattoli di latta con infinite qualità di foglie essiccate. Capisco di essere entrato nel posto giusto. Faccio fatica a spiegarmi quando é il mio turno ma riesco a portare via 250 grammi di Longjing di buona qualità e 250 grammi di non so che cosa. Impacchettati nella carta con una maestria che mi lascia abbastanza sbalordito. (Porcaputtana come riesco a scrivere bene usando solo il telefono!) Mi porto inoltre a casa due strumenti musicali da questo viaggio, una fantastica Pipa (una specie di liuto a quatto corde) comperata a Shanghai e un violino cinese comperato questa mattina lungo Nan Xin Hua Jie qui a Beijing. Qui in questo ristorantino ho tra l’altro uno scolo del cesso che scende dal piano di sopra e che scarica proprio dietro la mia schiena! Comunque una gran bella sensazione di pace mi attraversa in questa soleggiata e calda giornata pechinese.

Considerazione curiosa: è trascorso un mese oramai e non sono ancora riuscito a comperare qualcosa che non abbia oltrepassato la data di scadenza. In ogni albergo in cui sono stato, sia qui a Pechino che a Shanghai, e ogni volta che sono entrato in un negozio a comperare dei biscotti, una birra, dell’acqua, qualsiasi cosa, non sono ancora riuscito a trovare qualcosa di non scaduto. E’ tutto scaduto. Nel frigo minibar dell’hotel 4 stelle di Shanghai c’erano delle birre scadute a febbraio 2011 e sono convinto che non fossero li dal 2011. Il fatto è che qui ci si rifornisce di merce già scaduta che continua a rientrare e circolare nel mercato. Quando qualcuno la consuma viene sostituita da altri prodotti scaduti e nel frattempo la merce in regola oltrepassa la data di scadenza e si ritroverà anch’essa scaduta in qualche minibar o in un negozio d’alimentari. E’ un circolo vizioso che se non viene interrotto continua a perpetuarsi.

Infine un po’ di spazio su questo blog se lo merita ancora l’uovo centenario di cui mi sono cibato ieri.

Fotografo di terracotta

Attesa interminabile presso la Bank of China per completare dei pagamenti a due fotografi già partiti per le loro destinazioni, l’interprete, una fantomatica agenzia che dobbiamo pagare ogni volta che facciamo il checkout da un albergo prenotatoci dal nostro collaboratore in Cina. Oggi piove a dirotto e in questo paese tutto sembra sempre facile a parole ma alla resa dei conti diventa missione pressochè impossibile. Ci è stato chiesto di sederci qui in banca perchè loro attendono dalla loro sede centrale una conferma via fax sulla copertura della carta di credito. Appena arrivati alle poltroncine ci siamo girati e lo sportello è stato chiuso e sono spariti tutti! Aspettiamo. Stiamo aspettando da 2 ore e mezza e credo che supereremo le tre ore di attesa. Domani potrebbe essere finalmente la prima vera giornata di riprese.

Fantastica cena autentica in un ristorante affollatissimo in cui siamo i soli occidentali. Tutto ruota intorno al peperoncino che viene servito in quantità industriale in enormi bielle stracolme in cui fanno compagnia una volta ai gamberetti, una volta agli scampi, poi a delle strane erbe con piccole bacche dal fortissimo sapore che è un misto di menta e detersivo al limone (non saprei come definirlo altrimenti), c’è ora un po’ di manzo, polmone di maiale alveolato, teste d’anatra, strani bruchi grassi e abbrustoliti, lumache in guscio. Al tavolo qua di fianco due cinesi hanno appena ordinato due bottiglie da mezzo di birra a testa. Ne hanno versata un po’ nei bicchieri, una bella giratina per ripulire il fondo poi hanno svuotato tutto per terra e riempito nuovamente come Confucio comanda. Mitico! Dovrei fare cosí anche io a Lugano quando ordino l’Ittinger al ristorante.

Whisky & Sushi

Interessante serata dedicata al Giappone quella di martedì 28 febbraio, presso Tamborini Vini a Lamone: un assaggio verticale di quattro whisky nipponici accompagnati da sfiziosissimi bocconi preparati dalla Okaeri Take Away di Lugano e un’introduzione al whisky giapponese con degustazione abilmente commentata dal sommelier Marco Rasetti.

Si comincia con il blended Hibiki 17 anni. Al naso profumo di rose, agrumi, melone e pesca bianca. Gusto piuttosto secco con ritorno di agrumi. Il legno in questo caso crea una sensazione astringente guidandomi in un finale medio lungo che mi fa considerare questo whisky un prodotto molto bilanciato e delicato. Mi é stato inevitabile il tentativo di confronto con il Ballantines 17 anni che ricevette tante lodi da parte di Jim Murray sulla “Bibbia” del 2011.

Questo blended é accompagnato da Nigiri di Salmone, Norimaki di Avocado e Norimaki di Tofu.

Poi arriva dell’ottimo Sashimi di tonno, salmone e ama ebi.Per questa nuova transizione assaggio il Yamazaky 12 anni. Al naso Marco Rasetti ci fa notare scorza d’arancia, io percepisco un po di tè sencha ai lamponi e un notevole gusto finale di miele. Proviamo a sorseggiare questo whiski con un po’ di pesce. Sashimi e Yamazaki é un’esperienza spettacolare ma sashimi con una goccia di salsa di soia e Yamazaki é l’assoluta apoteosi della morbidezza burrosa del pesce crudo. Veramente una goduria!

 

Quando assaggio l’Hakushu, che avevo già gustato recentemente, mi rendo conto che si tratta del più torbato  della serata probabilmente, anche se questo termine é forse un po’ troppo forte per definire una sensazione che é giusto la percezione di una certa tostatura presente in questo distillato.

 Gusto di croccante di nocciola in finale. Questa combinazione di gusti porta ad abbinare all’assaggio una tempura di gamberi e avocado (Uramaki Ebi Ten e una tartar di tonno speziato (Uramaki Spicy Tuna).

Il finale trionfale é dedicato allo Yamazaki 18 anni che profuma di uva passa, frutta cotta, il gusto persistente suggerisce anche della polvere di cacao e pere e mele  cotte. Lo accompagnamo con Tako Yaki (polpette di pastella con ripieno di pollo e salsa agrodolce. Guscio esterno apparentemente freddo con un nucleo di mille gradi che come fece un tempo il ragionier Fantozzi, ingoio in un solo boccone evitando solo per miracolo una orribile ustione. Quest’ultima bottiglia tornerà a casa con me.

Mercado de La Concepción, El Puerto de Santa María

Gironzolando di mattina per le strade strette del centro di El Puerto de Santa Maria in cerca di dentifricio e spazzolino da denti mi sono imbattuto in questo magnifico mercato coperto a forma di mezzaluna. Sono stato immediatamente calamitato dal girone del pesce in cui i commercianti preparavano i loro banchi e le donne del paese cominciavano ad affluire per fare le spese. Dopo qualche chiacchera con i pescivendoli ho scattato questa panoramica che ora mi fa venir voglia di pranzare in riva all’oceano.


Mercado de La Concepción, El Puerto de Santa María in Spain

Andalucía

Ok, il momento é giunto, dopo una pizza gratificante si, ma fondamentalmente deludente, come alimento intendo, intrinsecamente sbagliata pressoché sempre. E’ giunto il momento di ricordare i quattro magnifici giorni passati in Andalusia la settimana scorsa. Parto non a caso da una considerazione  che si allaccia al mondo della gastronomia perché il cibo é stato uno degli aspetti fondamentali sui quali abbiamo focalizzato la nostra attenzione.

Durante i quattro giorni trascorsi nel sud della Spagna mai mi sono sentiro cosi “stuffed” come dopo quest’ultima pizza. Ma come é possibile? Venerdì scorso alle 13 e 30 siamo entrati nella migliore taperia di Jerez, il Bar Juanito, dove la cameriera ispanico-russa arriva al nostro tavolo dicendoci: “Vi porto delle tapas e quando ne avete abbastanza mi dite basta?” Siamo usciti alle 17 e 30 e io mi sentivo sazio ma comunque leggero nonostante le 14 portate, le due bottiglie di vino e un Pedro Ximénez di chiusura (viene giù come catrame questo liquido).

Ma torniamo a giovedì 13 maggio 2010:

Questa mattina levataccia da suicidio alle 02 e 50 per essere pronto per la partenza. Raccolgo gli altri compagni di viaggio lungo la strada e si parte verso Malpensa senza intoppi. Giunti in aeroporto però ci attende una coda bovina costante ad ogni tipo di sportello, controllo, bancone, imbarco.

Ora sull’aereo mi sto pregustando mentalmente le delizie dell’Andalusia che tra poco assaggerò. Sono stanco come la merda, ma quella stanca, che esce dal culo e resta li inerte, appesa nell’attesa di un’oscillazione che la faccia cadere.

2 considerazioni birrose, vol./alc. > 5

Guantanamera é il ballo di Mohammed.

A Gibilterra c’é un MacDonald’s in cui fanno degli ottimi Mac Macac.

Strana la vita, cazzo! Sto bevendo una pinta di John’s Smith all’Horseshoe Pub di Gibraltar. Poi una veduta veramente imperdibile dalla Rocca (una delle due colonne d’Ercole in pratica) E’ strana la sensazione che si ha vedendo l’Africa dall’altra parte dello stretto, vicina, li davanti ai miei occhi.

Questo continente enorme sempre lontanissimo, in ogni senso, qui mostra il coppino all’Andalusia. Ci potrei andare a nuoto.

Seguiamo la costa e risaliamo dalla parte atlantica della Spagna del sud. Il paesaggio é puntellato di gigantesche creature metalliche a tre braccia che girano vorticosamente.

Ci fermiamo a Bolonia sul mare per dare avvio al rituale che ci accompagnerà per i prossimi giorni. TAPAS !!! boquerones, puntillitas, cazon e birra Maho. Ora si parte in direzione di Puerto de Santa Maria.

2 pensieri sciolti:

Vergine ma troia! La grande contraddizione maschile…

Macchie oculari, pitiriasi rosea di Gibert e sovrapproduzione di bilirubina

Quindi Sevilla:

Liveliness is the magic word for tonight! Che botta di vita questa magnifica notte a Sevilla mentre aspettiamo di assistere ad un ballo di Flamenco alla Carbonería. Le strade del canto ci hanno offerto tutto quello che potevo desiderare questa notte.

Prima Vino de Naranja, caracoles e carne macha, adesso Agua de Sevilla, un caraffone pieno di una bevanda alcolica tutta ricoperta di panna da mescolare con questa ballerina vestita di rosso che si muove anguillesca, alzandosi la gonna, pestando i piedi a ritmo e puntando fuori i seni, coi capelli neri, ricci, lunghi e un volto che soffre sulla musica.

Sincopi, cambiamenti di ritmo, anticipi spettacolari, la gonna rossa che vola e il Gypsy King che canta sotto, tirando la voce.

PA – PO – PA – PO – PA – PO

TA – TA – TA – TA

PAK ! –  PAH !

Lui che seduto la guarda:

Quiero besarte, quiero carezarte

Porno vestito, da camera. Un bel petto mostrato con proudness. BRAVISSIMA!!! Tetta sofferta, orgoglio. TAK! Orgoglio, passione e ritmo, poi alcohol e questo porno da camera. Intanto c’é una bella senegalese con ottimo scorcio mammario dall’altra parte del palchetto mentre la ballerina si sta caricando come una dinamo e io mi sento totalmente infinito e mondiale questa notte.

Pensierini schizzati:

Il reggae é flamenco marihuana-revisited

Quando la mucca ti punta

Inoltre portiamo a termine una fantastica visita alla Bodegas Tradición di Jerez de La Frontera dove io mi riappacifico con lo sherry che la sera prima mi aveva un po’ deluso. A El Puerto de Santa Maria, durante una luminosa e movimentatissima sagra di paese avevamo bevuto esclusivamente Sherry Fino di fattura mediocre probabilmente ed ero rimasto abbastanza deluso da questo gusto poco aromatico di vino quasi posso, insipido e a tratti pure sgradevole. Nella cantina della Bodegas Tradicion abbiamo invece gustato dapprima direttamente dalle botti poi in un elegante salottino da degutazione tutta la gamma della produzione di casa: Amontillado, Oloroso, Palo Coratado, Pedro Ximenez, Brandy Gold e Brandy Platinum e adesso sono di nuovo in pace.


Bodegas Tradición in Spain

Infine piccole caccole di conversazione rubate ad un tavolo di fianco al nostro, presso il ristorante Tragabuches di Ronda:

“Gli italiani sono i più esterofili e il problema é che la mafia non esiste! Poi devi spiegarmi com’é la mafia spagnola.”


Ferien in Corippo

Grande serata gastronomica all’ Hotel Froda di Gerra Verzasca con grandi discussioni deliranti dalle quali ho rubato qualche riflessione totalmente slegata che ora mescolerò con il menù sopraffino che Lorenzo ci ha preparato:

Vol-au-vent con ripieno al pesto e gamberone gigante

… dopo quattro bianchi bisogna sempre ricordarsi di caricare di coriandolo…

Capasanta, Triglia e Speck

… ho una certa preferenza per l’RGB 000 …

Terrina con Sushi di Trota affumicata e pistacchi in salsa di carota e Sel de Guérande

… ci sono delle popolazioni che fondalmente non hanno voglia di far fatica e sottolineo fondamentalmente

Crema di Topinambur e spiedino di salmone

… mi sembrava strano che sull’album Panini ci fosse una pagina celebrativa della nazionale svizzera di calcio …

Ravioli alla coda di bue

… insomma, un incrocio tra bianchi, rossi e neri tra 400 anni. Proprio quello che voleva Hitler …

Chateaubriand di tonno rosso

… Dai Marc, bevi il thè …

Zabaione gelato, frutto della passione, kiwi, rabarbaro, fragole e ananas

… fatti una sabbiatura del palato, così non russi …

Formaggio della Verzasca con 4 tipi di pepe

… il matrimonio é un istituto meraviglioso, ma chi vorrebbe vivere in istituto? …

Groucho Marx

A Hotel

Oh, ma che serata magnifica il sabato appena trascorso. A casa di amici a gustare un’ottima cena a base di  pesce. Nel dettaglio una coppia di magnifici branzini sdraiati su un letto di patate, pomodorini, cipolle, rucola, funghi e altre  deliziose cibarie. Come sempre si beve ottimo vino mentre con Pat si cerca ri ripercorrere la lunga storia delle morti eccellenti nel mondo della musica degli ultimi cinquant’anni: da Jimi Hendrix a Janis Joplin, da Frank Zappa a Bon Scott. Ce li ricordiamo praticamente tutti, li abbiamo ascoltati tutti e ancora oggi alcuni di essi fanno parte degli ascolti ricorrenti.

A fine serata una divertente ricostruzione di un ipotetico atterraggio turistico in centro Mogadiscio. Atterraggio in stile Black Hawk Down di un non meglio precisato turista in tutina D&G e trolley Mandarina Duck ad un incrocio impolverato  nel centro di Mogadiscio. Secondo delle recenti valutazioni raccolte dai giornalisti Borga, Fagotto e Musumeci, la sopravvivenza di un bianco senza scorta nel centro di Mogadiscio va dai 3 ai 5 minuti, dopodiché o si é morti o nelle mani delle milizie. Ecco dunque che in questo simpatico contesto atterra il nostro turista in tutina con l’iPod in mano e le cuffiette bianche che penzolano dalle spalle. La strada é deserta e il nostro ignaro turista efebo si guarda intorno un po’ intimorito. Estrae dalla tasca il suo iPhone orgogliosamente custodito in un’astuccio Swarovski Wild Cat, lo alza al cielo in cerca di campo, facento un paio di giri su se stesso. “Non c’é campo, cazzo. Ora  come faccio a trovare un albergo? Aspetta che chiedo a quei colorati indigeni che si stanno avvicinando. Magari mi possono dare un passaggio a bordo del loro pickup.” Si avvicinano dei guerriglieri con il volti coperti dalla kafia, a tracolla portano delle pesanti sciarpe di proiettili e imbracciano dei Kalashnikov.

Hi, excuse me! I’m looking for a Hotel? Do you know where I can find a hotel?

Grassissime risate ci hanno colto e occupato per diversi minuti mentre brindavamo con un interessante Bladnoch cask strength, uno dei pochi whisky delle lowlands scozzesi.

E restando in tema sono colto in questo istante da una voglia irrefrenabile di acquistare una bottiglia di whisky. Non so ancora con precisione dove spingermi, forse in Giappone questa volta. L’ultimo numero di Whisky Magazine da ottimi punteggi e valutazioni ad una bottiglia di Yamasaki. Sto anche consultando la preziosa Score Card in pdf del sito dei Maniaci del Whisky.

Segnalo inoltre questo interessante video di Laphroaig TV. Un po’ di sana degustazione di Bourbon e Scotch Whisky. Filmato presso la distilleria di Maker’s Mark, in Kentucky, che fornisce a Laphroaig le botti usate per la maturazione del proprio bourbon. Spesso ci si domanda dei rapporti che corrono tra produttori scozzesi e americani. Questa degustazione incrociata é il perfetto esempio di un’ottima collaborazione e stima reciproca.

Toscana

Queste sono alcune delle panoramiche scattate sabato e domenica in Toscana durante un weekend quasi interamente dedicato al cibo e alla musica. Mi restano alcune belle immagini, interessanti chiaccherate con amici e un magnifico olio super-artigianale con il quale entra ora a far parte del mio bagaglio gastronomico la Fettunta, fantastico antipasto delle campagne toscane a base di pane tostato spolverato di sale e pepe e bagnato d’olio d’oliva, possibilmente di prima spremitura. Una bruschetta, direte. Forse, ma in verità altro.

 

Montefioralle, Greve in Chianti, Florence Province, Italy
 

Monteriggioni in the dark, Siena Province, Italy