Viaggio in Israele

Adesso dopo cena ho deciso di offrirmi un tris di whisky esclusivi. Ma si! Porcaputtana! E offriamoceli questi deliziosi whisky. Questa sera, dopo cena, me li merito tutti. Dopo i ravioli con ripieno di zucchine e formaggio mi offro nell’ordine un dito di Octomore, un dito di Port Ellen 30 Years Old e un dito di Glen Ord 30 Years Old. E’ giusto sottolineare queste cose.

Forse é meglio che scriva anche di quando io e Pat incontrammo il primo ministro israliano Rabin, a Tel Aviv, per caso, durante un pomeriggio trascorso a girovagare liberi come cani sciolti, sereni e ventenni. E’ meglio cercare di ricordare questo episodio che in effetti col tempo potrebbe sbiadirsi. Era il 1995 e reduce da un soggiorno in kibbutz un paio di anni prima decisi di tornatre in Israele con Pat per una vacanza che avremmo voluto vivere all’insegna della libetà. In quegli anni viaggiavo assai leggero e tranquillo. Avevo pochissime pretese e prendevo tutto ciò che la vita mi offriva. Tutto andava bene. Ero sempre contento di tutto. Ogni giornata vissuta era una giornata guadagnata. Qualsiasi cosa accadesse ero sempre soddisfatto. Ovunque la vita mi portasse ero soddisfatto. Non mi lamentavo di niente e tutto andava bene.  Qualsiasi cosa io mangiassi ero contento, qualsiasi sistemazione trovassi andava bene. Cercavo sempre di conoscere gente nuova e le giornate si concludevano sempre con me esausto che mi arrendevo alla fatica. Non c’era niente che io non avessi voglia di fare.

Durante quell’estate trascorsi alcune settimane in Israele con Pat che la visitava per la prima volta. Girovagammo per tutto il paese con i sacchi da montagna in spalla. Mi ricordo la notte in cui ci si addormentò sulle prime colline che dal Mar Rosso salgono fino al deserto del Sinai, sdraiati per terra nei nostri sacchi a pelo con le luci di Aqaba, della Giordania e dell’Arabia Saudita davanti, scolandoci una Tuborg bollente  in una notte che alle 23.00 ancora segnava 39 °C. Mi ricordo la visita alla fortezza di Masada e poi lo stesso pomeriggio una lunga salita, attraversando la Samaria a bordo di un autobus stracarico su fino a Gerusalemme. Tutto il viaggio in piedi, sia io che Pat puzzavamo come caproni dopo una giornata intera trascorsa a ispezionare prima le rovine di antiche sinagoghe, poi le saune di Re Erode, l’oasi di Ein Gedi per poi concludere la giornata esausti su questo autobus della Eged con i passeggeri che a ginocchiate cercavano di tenerci lontani. Mi ricordo le infinite contrattazioni per l’acquisto di una scacchiera egiziana nella città vecchia di Gerusalemme, a spasso per i vicoli più nascosti del suq.

Quando invece ci recammo a Haifa, una strana atmosfera teneva tutti sospesi, come galleggianti nell’aria. Ad ogni sosta dell’autobus udivamo uscire dalle case lo stesso messaggio da ogni finestra, la stessa voce grave e solenne. La televisione stava trasmettendo un messaggio alla nazione. Non capivo di cosa si stesse parlando ma precepivo la gravità nel tono e nell’attenzione silenziosa che coinvolgeva tutti durante questo strano viaggio.

La sera a Haifa ci informarono che un autobus era saltato in aria a Tel Aviv. Proprio quello che passava per Dizengoff Street, lo stesso autobus che pochi giorni prima avevamo preso io e Pat. Di Haifa ricordo poco, una lughissima passeggiata alla ricerca di cibo in una città buia senza gente in giro, solo qualche puttana al bordo della strada giù al porto e poi questo ristorante rumeno in cui mangiammo una bistecca con contorno di verdure prima di ritornare allo strano ostello ultra-cattolico con coprifuoco alle 23:00. C’erano bibbie e testi religiosi di ogni tipo in stanza posti in una  bacheca che stavamo fissando interrogativamente.

La mattina dopo fu impossibile fare il bagno a sud di Haifa; le acque erano infestate di meduse a perdita d’occhio e si poteva stare solo in spiaggia.

Si scese a sud verso Acco per visitare le rovine sotterranee dei templari. Ho l’immagine impressa nella memoria, quella sera, di un bimbo che arriva in sella ad un asino che procede spedito, a scatti, mentre lui lo bastona servendosi di un’assicella con un chiodo conficcato in fondo che sborda sull’altro lato di diversi centimetri. Non appena l’asino rallenta il bimbo sbatte l’assicella sulla coscia dell’asino conficcandogli il chiodo nella carne, a fondo. L’asino spalanca gli occhi,  scatta dal dolore con una paurosa piaga sanguinante aperta sul fianco dove il bimbo batte. Ci passa davanti, martirizzato e noi stiamo li imbambolati, inorriditi e un po’ smarriti dalla tremenda normalità di questa scena. Il giorno dopo mangiamo in un ristorante soleggiatissimo – questo mi ricordo – con una capra che passeggia tranquillamente in cucina. Ordiniamo pesce. Un scelta che avremmo pagato a carissimo prezzo dopo qualche giorno, con un cagozzo micidiale dovuto ad un’intossicazione alimentare abbastanza prevedibile.

Infine mi ricordo un pomeriggio abbastanza tranquillo a Tel Aviv, trascorso passeggiando per il lungomare. Nel tardo pomeriggio siamo seduti ad un bar in Rechov Ayarkon, ci stiamo scolando la seconda Goldstar da mezzo, gelata, accompagnata da olive e peperoncini verdi. Siamo già pienamente rotondi e con la testa leggera. Non mi ricordo di cosa si stesse parlando ma mi ricordo bene di quando feci notare a Pat che ci trovavamo proprio di fronte alla sede del partito laburista che si trovava proprio dall’altra parte della strada. Mi ricordo che dissi a Pat che quello sarebbe stato un luogo perfetto per commettere un attentato.

Mentre ci scoliamo la nostra meritata birra un tizio apparso quasi dal nulla comincia a girare per i tavolini del bar, ispezionando ogni cestino, controllando sotto ogni tavolino e sedia. Sta in silenzio e lavora veloce.

Ma checcazzo-sta-succedendo? Io e Pat ci guardiamo mentre questo tizio passa in rassegna ogni angolo del bar. Rovista come come fanno i barboni in mezzo ai rifiuti in cerca di qualche prelibatezza mezza masticata, il fondo di una latta ancora incrostato di resti di cibo.  Dopo alcuni secondi, qualche isolato più avanti, sbuca velocemente un’auto della polizia a sirene spiegate. Imbocca la nostra strada e arriva a piena velocità fino a qualche metro dopo la porta d’ingresso del partito laburista. Escono due poliziotti armati che si mettono a presidiare l’entrata. Dopo qualche istante si getta sulla stessa strada, dalla stessa parte una limousine nera seguita da un paio di auto della polizia. Corrono anch’esse in direzione dell’entrata del partito laburistra. Noi siamo li di fronte, mezzi ubriachi e assistiamo senza parole a questi momenti.

La limousine si ferma proprio di fronte a noi. Escono due guardie del corpo, una si ferma davanti allo sportello posteriore mentre l’altra fa il giro dell’auto. Si guardano intorno per un istante, aprono lo sportello, tirano fuori un uomo e di corsa lo lanciano all’interno della sede.

Ma… Ma quello era Rabin.  Pat! quello era Rabin.

E giù un’altra bella sorsata di birra.

L’immagine é ancora impressa nella mia memoria, abbastanza chiara. Ho un ricordo surreale di quell’incontro inaspettato. La città mi sembrava vuota in quel momento. Le strade deserte col sole basso del tardo pomeriggio.

Due mesi dopo Yitzhak Rabin fu assassinato da un ebreo fanatico durante un discorso a Tel Aviv.