Hopelandia

Ooohhh! Finalmente!
Ricomincia una nuova avventura, un nuovo viaggio solitario e finalmente ho un valido motivo per rimettermi a scrivere. Per il momento può bastare che io dica che vado in Hopelandia e che chi ha di solito più dimestichezza con i miei banali giochetti di parole indovinerà sicuramente il vero nome della mia destinazione. Qualche conoscenza in ambito musicale può aiutare.
Questo preciso istante fa parte di uno di quei momenti che io di solito annovero tra i miei top 5: sono seduto all’Harry’s Bar dell’ aeroporto Malpensa di Milano e sto mandando giù una fresca e deliziosa Beck’s.

Dopo l’inverno che ha fatto negli scorsi giorni oggi é finalmente ritornata l’estate, ma qui nel sud dell’Europa, non nel paese in cui sono diretto. Sono dunque vestito come uno sherpa himalayano qui ai 30 gradi di Milano in previsione della botta di freddo che mi attende a destinazione. Indosso scarponi da montagna Salomon con interno in Goretex, jeans lunghi (io di solito da marzo a novembre porto solo pantaloncini corti e sandali), camicia svizzera da lanciatore di bandiere con edelweiss ricamata a strisce e giacca imbottita di origine scozzese. Un abbigliamento indecente oggi qui a Milano ma ride bene chi ride per ultimo.

Il volo fila via tutto liscissimo, a Copenhagen una brevissima attesa e sono nuovamente a bordo. In Danimarca comincia a fare buio  quando decolliamo ma più ci spingiamo in alto e a ovest e più la notte ricomincia ad essere chiara. Arrivo a Reykiavik, eggià, ero proprio diretto in Islanda, cinque minuti prima di mezzanotte. Il sole é appena tramontato e ancora colora le nuvole lontane. Prima di atterrare sorvoliamo il Mýrdalsjökull e l’Eyjafjallajökull (impossibile pronunciarli correttamente), i due ghiacciai minori della costa sud occidentale, due enormi macchie bianche disegnate su una terra che vista da quassù da l’impressione di essere ancora ferma al tempo della creazione (non in senso religioso).

Dopo l’atterraggio mi dirigo diligentemente al recupero bagagli, un esercizio che risveglia sempre in me vecchie inquietudini legate ad una brutta esperienza di 10 anni fa con Air France tra Milano, Parigi e San Francisco. Dopo quaranta minuti rimango solo io e una famiglia di islandesi a fissare come imbecilli il nastro trasportatore oramai quasi vuoto, giusto un paio di borse semi rottamate con scritte in cinese che avrò visto passare almeno trenta volte. Intanto nella mia testa si fanno sempre più reali le mie paure. Non possono perdermi la valigia, c’é dentro tutto il mio piccolo mondo preparato con puntiglio apposta per l’Islanda: tenda Ferrino Chaos 2, sacco letto Ferrino ultra leggero per temperature fino a -9°, softshell windstopper Montura, pantaloni Mammut Base Jump elastici ad asciugatura rapida, idrorepellenti, fornello da campeggio Primus Omnifuel, set di pentole da campeggio, dolcevita grigioverde direttamente dagli anni novanta, su dalle parti della caserma Motto Bartola ad Airolo e per finire ma non meno importante un tocco di carne secca dell’Azienda Agricola Luca Chiappa dell’Alpe Corte di Certara.

Ma che ci sto a fare in Islanda se non mi arrivano queste cose? Avevo predisposto tutto, già immaginavo i magnifici momenti trascorsi fuori dalla mia tenda mentre cucino qui in alto, a destra della Groenlandia.

Prendo un taxi all’una e mezza del mattino alla volta del mio “apartment” a Bolholt. La mail che ho stampato dei Bolholt Apartment mi informa che se arrivassi tardi nella notte posso digitare un codice che mi permetterà di entrare all’interno dell’edificio dove le mie chiavi mi dovrebbero attendere. Giunto davanti alla porta scorrevole del Bolhot, lungo una strada deserta che porta giù fino al centro di Reykjavik, in una strana notte fonda islandese luminosissima, comincio a digitare il mio codice su un pannellino che non da alcun segno di vita. Non emette nessun “bip”, non si accende niente, non si apre niente, tutto resta fermo e io capisco subito che questa notte cominciata male potrebbe finire anche peggio. E mo che faccio? Sono qua come un ebete, davanti a questa porta scorrevole che mi impedisce di entrare in quella che sembra un’entrata di servizio ma che è in realtà l’unica vera entrata principale, totalmente incustodita. Gli unici campanelli presenti sono quelli di un paio di compagnie assicurative che si trovano al primo e al secondo piano mentre per gli appartamenti c’é un campanello che alla pressione non produce assolutamente nessuna reazione. Anch’esso non emette suoni. Sembra privo di corrente elettrica. Dopo una decina di minuti decido di chiamare il numero di telefono che avevo indicato sulla mail di conferma. Risponde il signor Halldor che evidentemente stava dormendo profondamente e che impiega qualche secondo per connettere. Gli spiego la situazione e lui mi dice che non è in grado di sbloccare l’ingresso. Mi dice che di li a qualche minuto mi avrebbe inviato per SMS l’indirizzo di un altro appartamento che alle 2 del mattino mi metterò dunque a cercare, lungo le strade luminose e deserte di Reykjavik in Islanda. Riesco a scovare questo nuovo appartamento dopo una trentina di minuti trascorsi a maledire due gruppi distinti di idioti che dapprima mi hanno perso la valigia e adesso mi obbligano a fare la passeggiatina notturna per trovare forse un posto in cui dormire (che ho già pagato tra le tante cose)

L’esercizio risulta abbastanza difficile a quest’ora dopo una lunga giornata di viaggio, senza bagaglio, costretto ora a digitare un codice per entrare in un edificio dove devo digitare un secondo codice, diverso dal primo, per aprire una cassettina che contiene le chiavi del mio nuovo appartamento. Ma cos’é? Un gioco? Poi dentro ci sarà magari un’altra scatolettina con un’altra chiavettina? Finalmente entro in camera. Dalla finestra entra troppa luce, ma io sono stanco come una merda secca e non ci faccio troppo caso. Mi addormento subito.

Reykjavik

Oggi é il giorno dopo, questa mattina sono tornato all’aeroporto pieno di speranza ma con un anfratto di cervello già rassegnato.

Alle nove e mezza arrivava da Copenhagen il primo volo della mattina. Attendo 20 minuti davanti agli sportelli del servizio bagagli, suonando campanelli ogni 2 minuti prima che qualcuno si degni di venire a sentire cosa ho da dire. Finalmente vengo ascoltato e dopo un breve controllo incrociato con le scartoffie che già mi portavo appresso dalla sera prima mi comunicano che non é arrivato niente dalla Danimarca. Chiedo quando arriveranno i prossimi voli da Copenhagen. Alle 15:30 e alle 17:00. Mi dicono che hanno il mio numero di telefono e che mi chiameranno se ci saranno sviluppi. Ritorno a Reykjavik ancora più scornato. Suona tutto maledettamente troppo famigliare. Comincio a vagliare alcune possibilità per proseguire il mio viaggio. Come fece Pat nel 2003 ora dovrò fare io. Entro in un negozio di articoli da campeggio giusto per farmi un’idea di quanto potrebbe venire a costare ricomperarmi un po’ di attrezzatura di base come la tenda e un sacco a pelo. Leggo delle cifre che non capisco: 54.000 ISK, 27.000 ISK, ma quanto cazzo sono cinquantaquattromila corone islandesi. Non capisco più niente. Cerco di fare dei calcoli ma mi vengono fuori solo delle cifre assurde, tipo un sacco a pelo per 5000 franchi svizzeri, una tenda da 2500 franchi… non capisco niente. Mi é impossibile capire in questo momento. Sigur RósEsco e vado a comperare l’ultimo disco di Sigur Rós, poi vado a bere una birra per cercare di mettere tutto un po’ in prospettiva.

 

 

Niente da fare, la prospettiva si restringe e sono già le 16 e 50. Il secondo aereo da Copenhagen é arrivato in Islanda da più di un’ora, nessuno mi ha chiamato. Prospettiva ufficialmente di merda! Torno al mio appartamento per avvertire casa che qua in Islanda si mette tutto un po’ male. Sono le 17 e 15, sono fermo al semaforo prima di voltare a sinistra per imboccare il viale che porta al mio appartamento vuoto.

Mi arriva un SMS. Non faccio in tempo a leggere che squilla il telefono. Il semaforo diventa verde e io, che di solito non rispondo mentre sono alla guida, sono preso quasi da un raptus. Potrei anche avere davanti alla mia macchina un GI islandese in assetto da guerra che mi intima di posare il telefono sennò spara…

Rispondo. “Mr. Spiegler?” Yes? “We found your luggage”

Non posso ripetere la sequenza di trivialità che sono seguite.

Questa sera mi sono cucinato una costata con patate e ho celebrato con Lagavulin Distillers Edition Pedro Ximenez Cask-Wood.

costata

Con la mia valigia!

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9 commenti

  1. Mi raccomando prova qualche unusual food: testa di pecora o squalo fermentato…

  2. Ahhh grandissimo Hopelandia!!! What are you doing here…
    Ci voleva proprio un Lagavulin PX distillers edition: fenomenale!!!
    Ti auguro tantissimi paesaggi che aprono la mente come i Sigur Ros!!! Olsen olsen

  3. …dal ridere, s’intende 🙂

  4. Ho le lacrime agli occhi

  5. Sei un mito ! Superspettacolo ! Non mollare mai ! Assforpresident !
    Voglio una grigliata a casa tua in agosto ! Una di quelle che durano 12 ore !

    • 🙂 Promesso! In effetti non può mancare la maratona di carni dell’alta Valcolla. Diventerà una classica di stagione. Innaffiata di vino e whisky!

  6. hahahahaha, spettacolo leggerti 🙂

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